Persone fastidiose
Quali sono le persone più
fastidiose del mondo? È una cosa che mi chiedo spesso quando faccio la doccia.
C’è così tanto corpo da lavare e così poche mani a disposizione, che bisogna
pur trovare qualcosa a cui pensare. Allora quali sono? I gradassi? I bugiardi?
Gli invadenti? I conformisti? Gli artificiosi? Gli opportunisti? I vanitosi? I
petulanti? Gli esibizionisti? I rumorosi? Gli sbaciucchioni? Gli imprecisi?
Effettivamente gli imprecisi sono abbastanza fastidiosi, ma c’è una categoria
di persone di gran lunga più fastidiosa degli imprecisi: gli imprecisi che
pensano di essere precisi. Al solo pensiero mi viene da insaponarmi gli occhi.
In realtà i semplici imprecisi non sono poi così fastidiosi, basta solo lasciarsi trascinare dalla loro imprecisione invece che subirla. Almeno con me funziona. Io vivo seguendo una rigida ortoprassi: sveglia alle sette e un quarto, colazione con Prima Pagina, letto da rifare dopo colazione ma prima della doccia, doccia, pranzo a mezzogiorno, orzo alle cinque, cena alle otto e mezza ascoltando Otto e Mezzo, sostituzione pantaloni dopo soggiorni in luoghi pubblici, lavaggio mani a contatto con infissi, cibi e corpi (miei o altrui), libri suddivisi secondo la classificazione Dewey, un anticalcare per l’acciaio e uno per la ceramica, ingresso consentito solo a Micol, non cuocere il vitello nel latte della madre, Cibalgina, ma quando sono in compagnia di una persona imprecisa tutto questo reticolo di regole svanisce e vivere diventa facile come lavarsi un avambraccio (gli avambracci sono in assoluto la cosa più facile da lavare, così ben in vista e straordinariamente privi di buchi). Le persone imprecise riescono a trasmettermi un po’ della loro confidenza col mondo e a farmi sentire come se tutto fosse sotto controllo, non perché qualcosa sia effettivamente sotto controllo, ma perché non c’è niente che valga la pena controllare. In questo risiede l’intrinseca superiorità degli imprecisi sui precisi: i precisi provano a dare ordine al caos senza riuscirci, gli imprecisi escono a bere.
In realtà i semplici imprecisi non sono poi così fastidiosi, basta solo lasciarsi trascinare dalla loro imprecisione invece che subirla. Almeno con me funziona. Io vivo seguendo una rigida ortoprassi: sveglia alle sette e un quarto, colazione con Prima Pagina, letto da rifare dopo colazione ma prima della doccia, doccia, pranzo a mezzogiorno, orzo alle cinque, cena alle otto e mezza ascoltando Otto e Mezzo, sostituzione pantaloni dopo soggiorni in luoghi pubblici, lavaggio mani a contatto con infissi, cibi e corpi (miei o altrui), libri suddivisi secondo la classificazione Dewey, un anticalcare per l’acciaio e uno per la ceramica, ingresso consentito solo a Micol, non cuocere il vitello nel latte della madre, Cibalgina, ma quando sono in compagnia di una persona imprecisa tutto questo reticolo di regole svanisce e vivere diventa facile come lavarsi un avambraccio (gli avambracci sono in assoluto la cosa più facile da lavare, così ben in vista e straordinariamente privi di buchi). Le persone imprecise riescono a trasmettermi un po’ della loro confidenza col mondo e a farmi sentire come se tutto fosse sotto controllo, non perché qualcosa sia effettivamente sotto controllo, ma perché non c’è niente che valga la pena controllare. In questo risiede l’intrinseca superiorità degli imprecisi sui precisi: i precisi provano a dare ordine al caos senza riuscirci, gli imprecisi escono a bere.
A volte mi sforzo anch’io
di essere così, per esempio quando lascio il libro sul bracciolo del divano: mi
piace la sensazione di aver lasciato una cosa così sfacciatamente a portata di
mano, come se davvero non avesse conseguenze. Mi metto a fare altro e mi sento
già più libero, mi godo ogni secondo di quella piccola imprecisione, la soppeso
mentalmente e di tanto in tanto do un’occhiata per verificare che sia tutto
esattamente fuori posto come l’ho lasciato. Dopo cinque minuti il libro è al
suo posto sulla mensola.
Quindi alla fine gli
imprecisi vanno bene, invece gli imprecisi che si credono precisi sono quanto
di più odioso sia mai apparso sulla Terra dopo il gas nervino e l’esultanza
dopo il gol.
Torni domani dopo pranzo e vediamo che si può fare.
Domani dopo pranzo?
Sì.
“Dopo pranzo” nel senso di “subito dopo pranzo” o “molto dopo pranzo”?
Un po’ dopo.
Un’ora?
Più o meno.
Mezz’ora?
Perfetto.
Quindi mezz’ora dopo pranzo.
Sì.
E, scusi, a che ora pranza lei?
All’una precisa.
“Precisa”, che parola ambiziosa! Torno a casa, mi tolgo le scarpe, ripongo le scarpe nella scarpiera, prendo le pantofole, cambio i pantaloni, mi lavo le mani, punto la sveglia all’una meno un quarto, guardo la posta, leggo il Corriere, mi indigno, mi lavo le mani, pranzo, mi lavo le mani, mi lavo i denti, spengo la sveglia prima che suoni, ripongo le pantofole, prendo le scarpe dalla scarpiera e esco di casa. Arrivo con mezz’ora d’anticipo, giusto in tempo per fare qualche giro intorno all’isolato, e quando è l’una e mezza in punto m’incammino verso la sedicente persona precisa, arrivando con tre minuti di studiato ritardo per non dare l’impressione di essere stato tutto il tempo a pensare a lei.
La trovo che mangia un
panino con la frittata.
Le avevo detto di venire dopo pranzo!
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