venerdì 31 ottobre 2014
Rock Balancing
La ricerca dell’equilibrio di
due o più pietre esige pazienza ed umiltà, estraneazione dallo scorrere del
tempo, immersione nella natura, ascolto dei suoni e del silenzio. È una
disciplina mentale che aumenta la sensibilità e la percezione dello scambio di
energia tra il soggetto e la pietra da porre in equilibrio.
"Balancer" sono
chiamati coloro che erigono le figure di pietra in equilibrio, chiamate anche
sculture. La personale sensibilità artistica e bravura nella ricerca
dell’equilibrio fa sì che le opere siano molto personali, e facilmente
riconoscibili.
(Wikipedia)
Michael Grab è un importante
giovane artista del Colorado le cui sculture, al limite del possibile, sono
frutto di meditazione e di ricerca di unità con la natura
Tipi
differenti di pietre in equilibrio:
Equilibrio puro: ogni roccia è in equilibrio su un'altra grazie ad
un solo punto di appoggio;
Equilibrio a contrasto (Counter balance): rocce più piccole che
dipendono dal peso delle rocce sovrastanti per mantenere l'equilibrio;
Pietre accatastate (Stacking balance): rocce posate una sull'altra
a formare strutture di altezza elevata;
Free style: miscela di equilibrio puro ed equilibrio counter, nella
struttura possono essere inclusi archi.
(Wikipedia)
giovedì 30 ottobre 2014
Solitude
Ora noi possiamo sentirci, in
mezzo alle comunità, soli e diversi, ma il desiderio di rassomigliare ai nostri
simili e il desiderio di condividere il più possibile il destino comune è
qualcosa che dobbiamo custodire nel corso della nostra esistenza e che se si
spegne è male.
Di diversità e solitudine, e di desiderio di essere come tutti,
è fatta la nostra infelicità e tuttavia sentiamo che tale infelicità forma la
sostanza migliore della nostra persona ed è qualcosa che non dovremmo perdere
mai.
Natalia Ginzburg
mercoledì 29 ottobre 2014
Maledetto Sud
Per quanto non venisse mai teorizzata
una separazione, l’idea che esistessero gli italiani del Nord e gli italiani
del Sud era diffusa e condivisa fin già dagli anni Ottanta del Novecento, prima
ancora dell’esplosione leghista, e nel tempo sarebbe diventata argomento di
dibattito e di contrasto politico, di presunzioni e di retoriche identitarie.
Sentirsi italiani non era facile, ma diventava una sorta di rivendicazione
contro i separatismi leghisti e anche contro le ridondanti esibizioni di
appartenenze localistiche. Un terreno scomodo, di confine, ma l’unico
percorribile e l’unico ragionevole, a condizione di poter decostruire quelle
retoriche e di guardare dentro alle ambiguità delle identità e, insieme alle
bellezze, di appartenere a un luogo, di avere, come diceva Ernesto de Martino,
una patria di riferimento. Dirsi o sentirsi o pensarsi di questo luogo e
insieme dell’Italia non è operazione semplice e definitiva. E diventa sempre
piú complicato nel momento in cui Nord e Sud, quasi come destra e sinistra,
perdono gli antichi significati, e vanno collocati in un mondo piú vasto,
globale, completamente nuovo rispetto al passato e ad ogni presente immaginato;
un nuovo che spesso non lascia spazio all’idea di futuro e inevitabilmente
porta a una sorta di restaurazione, di rimpianto, di rifiuto del passato. Sentirsi radicato
e sradicato, qui e altrove, partito e rimasto, è forse la condizione dolce e
dolorosa di chi capisce quanto sia diventato piú piccolo il mondo ed
enormemente piú grandi i suoi problemi. Forse allora bisogna ripartire da una
riflessione sulla possibilità e sulla necessità di sentirsi italiano, pure
sentendo l’appartenenza a un luogo e a un mondo. Può significare comprendere
che il riconoscimento profondo di un luogo può essere un possibile antidoto
alla fine del mondo. Chi ha conosciuto la fine del proprio mondo non è piú
disponibile ad accettare che finisca il Mondo. Questa riflessione incontra
sempre il problema delle immagini, la potenza degli stereotipi, il senso di noi
che è stato costruito nei secoli grazie anche a sguardi non sempre benevoli,
anzi ostili e miopi, parziali e deformanti. Ci si chiede se liberarsi dalla
«maledizione» di un’identità angusta, chiusa, inventata (come quella che oppone
Nord a Sud) può spingere a trasformare il conflitto in benedizione, il
risentimento in riconoscenza, l’autoassoluzione in consapevolezza dei propri
errori, l’ostilità nei confronti degli altri in comprensione. Questo mio
viaggio è, non a caso, mirato a smontare i luoghi comuni dei pregiudizi (anche
propri) che segnano il Sud e le immagini di un mondo complesso che spesso si
rovesciano se ricostruite attraverso uno sguardo storico, antropologico e
letterario.
martedì 28 ottobre 2014
Riguardare i luoghi
Riguardare
i luoghi significa guardarli altrimenti, con la levità di chi non vuole farsi
soffocare dal passato, con la gioia di chi parla di cose amate. Riguardare i
luoghi significa riconoscerli per quello che oggi sono diventati, senza
rimpianti, nostalgie. Significa riconoscere genealogie, case, antenati, ma
anche pensare ai bambini, a quelli che verranno. Sulla scena geografica del
vecchio e nuovo mondo si affacciano individui e gruppi che hanno bisogno
d’inventare il villaggio, le origini, la piccola patria come luogo di una
diversità da recuperare, di una superiorità da ostentare. Riguardare significa
rispetto, attenzione, ma anche riflessione sulla necessità di un nuovo senso
comunitario, di un nuovo senso pubblico.
(...)
Riguardare
significa avere cura. Cura è parola densa, che parte dalla sfera emozionale,
oscillando tra sollecitudine, premura, attenzione, riguardo, preoccupazione e
inquietudine fino ad indicare l’amore e la pena amorosa. La cura ha un senso
vivo anche nella sfera pratica e parla di coltivazione delle piante e di
allevamento degli animali, di un’attenzione che si espande alla natura e alla
terra, oltre che alle persone. I luoghi hanno bisogno di amore vero, quello che
nasce da una salvifica schiettezza, quello che mette a nudo bellezze e
bruttezze per esaltare la profonda complessità del reale. Cura dei luoghi significa
anche farsi carico delle verità drammatiche, quelle che tutti vorremmo tacere o
imbellettare, nascondere o rifiutare in ogni modo. Cura è anche saper fare i
conti con il dolore.
L’avere
cura non è soltanto un fatto etico, morale, estetico è anche una pratica
concreta. L’agire superficiale non prevede cura, ma l’occultamento dei
problemi, o una loro falsa soluzione. Cura significa avere attenzione per le
persone, per i rapporti, per i legami. La cura ha una visione globale del
corpo, del corpo-paese, del corpo-comunità e dell’alterità che al corpo si
accosta. Riguardare per cambiare significa muoversi a piedi in quei luoghi che
sembrano condannati all’inesorabile marginalità, e che invece potrebbero
trasmettere vitalità al mondo. Riguardare è attraversare paesi e campagne,
conoscere quelli che arrivano, apprendere l’arte del camminare vigile,
silenzioso, spesso solitario.
lunedì 27 ottobre 2014
Case
Mi rimangono le case in cui sono stato felice, dove ho
assistito alla bellezza, alla bontà, dove ho vissuto pienamente. Guardo la
fisionomia delle abitazioni come se fossero volti, torno a esse con
l’immaginazione, salgo scale, apro porte e contemplo quadri. Non so se gli
uomini siano troppo ingrati con le case, o se la mia gratitudine nei loro
confronti sia una forma di nevrosi. Il fatto è che amo i luoghi dove ho
incontrato un minuto di pace, non li dimentico mai, li porto con me e conosco
la loro essenza intima, il mistero ansioso di rivelarsi che abita in ogni
parete. Sono certo che le case cerchino di parlare, di farsi amare, e a volte
mi spiego i fantasmi: come non ritornare dalla morte, a visitare le case amate?
Io sarò un fantasma infaticabile.
Julio Cortazar
giovedì 23 ottobre 2014
Il difficile
Difficile non è raggiungere qualcosa, ma liberarsi dalla condizione
in cui si è.
Marguerite Duras, L'amante
mercoledì 22 ottobre 2014
I treni per Reggio / 1972
Tra la fine degli anni
Sessanta e l'inizio degli anni Settanta diversi movimenti di rivendicazione
sociali esplosero nel sud Italia e immediato fu il tentativo di annegarli nel
sangue. A Reggio Calabria, tra il
luglio ed il settembre del 1970 si susseguirono numerose proteste contro il
trasferimento del capoluogo regionale a Catanzaro. Vennero occupati la
stazione, l'areoporto, le Poste e vi fu un grande sciopero generale. Le organizzazioni di estrema
destra risposero a questa ondata di protesta sociale da un lato con una serie
di attentati dinamitardi, come quello del 22 luglio 1970 che fece deragliare il
treno "Freccia del Sud" a Gioia Tauro (6 persone morirono
nell'attentato) e quello del 4 febbraio 1970, quando venne lanciato una bomba
contro un corteo antifascista a Catanzaro; dall'altro tentando di scatenare
disordini in città.
Per rispondere a questi
attacchi i sindacati metalmeccanici decisero di organizzare una grande
manifestazione di solidarietà a fianco dei lavoratori calabresi. Fu tra le
prime volte che gli operai del nord e del centro scesero a manifestare al Sud.
La manifestazione fu indetta per il 22 ottobre. I neofascisti tentarono di impedire l'arrivo dei manifestanti con una serie di attentati, 8 in totale, nella notte tra il 21 e il 22 ottobre 1972. Il tentativo però fallì, infatti più di 50.000 manifestanti riuscirono a raggiungere Reggio Calabria con i treni e i treni speciali, cui si aggiunse anche una nave con 1000 operai noleggiata dagli operai dell'Ansaldo di Genova.
Il viaggio e la giornata sono descriti da una canzone di Giovanna Marini.
La manifestazione fu indetta per il 22 ottobre. I neofascisti tentarono di impedire l'arrivo dei manifestanti con una serie di attentati, 8 in totale, nella notte tra il 21 e il 22 ottobre 1972. Il tentativo però fallì, infatti più di 50.000 manifestanti riuscirono a raggiungere Reggio Calabria con i treni e i treni speciali, cui si aggiunse anche una nave con 1000 operai noleggiata dagli operai dell'Ansaldo di Genova.
Il viaggio e la giornata sono descriti da una canzone di Giovanna Marini.
Andavano col treno giù nel
Meridione
per fare una grande manifestazione
il ventidue d'ottobre del '72
in curva il treno che pareva un balcone
quei balconi con la coperta per la processione
il treno era coperto di bandiere rosse
slogans, cartelli e scritte a mano
da Roma-Ostiense mille e duecento operai
vecchi e giovani e donne
con i bastoni e le bandiere arrotolate
portati tutti a mano sulle spalle
il treno parte e pare un incrociatore
tutti cantano Bandiera Rossa
dopo venti minuti che siamo in cammino
si ferma e non vuole più partire
si parla di una bomba sulla ferrovia
il treno torna alla stazione
tutti corrono coi megafoni in mano
richiamano «andiamo via Cassino
compagni da qui a Reggio è tutto un campo minato
chi vuole si rimetta in cammino»
dopo un'ora quel treno che pareva un balcone
ha ripreso la sua processione
anche a Cassino la linea è saltata
siamo tutti attaccati al finestrino
Roma Ostiense Cisterna Roma Termini Cassino
adesso siamo a Roma Tiburtino
il treno di Bologna è saltato a Piverno
è una notte è una notte d'inferno
i feriti tutti sono ripartiti
caricati sopra un altro treno
funzionari responsabili sindacalisti
sdraiati sulle reti dei bagagli
per scrutare meglio la massicciata
si sono tutti addormentati
dormono dormono profondamente
sopra le bombe non sentono più niente
l'importante adesso e' di essere partiti.
ma i giovani hanno gli occhi spalancati
vanno in giro tutti eccitati
mentre i vecchi sono stremati
dormono dormono profondamente
sopra le bombe non sentono più niente
Famiglie intere a tre generazioni
son venute tutte insieme da Torino
vanno dai parenti fanno una dimostrazione
dal treno non è sceso nessuno
la vecchia e la figlia alle rifiniture
il marito alla verniciatura
la figlia della figlia alle tappezzerie
stanno in viaggio ormai da più di venti ore
aspettano seduti sereni e contenti
sopra le bombe non gliene importa niente
aspettano che è tutta una vita
che stanno ad aspettare
per un certificato mattinate intere
anni e anni per due soldi di pensione
erano venti treni più forti del tritolo
guardare quelle facce bastava solo
con la notte le stelle e con la luna
i binari stanno luccicanti
mai guardati con tanta attenzione
e camminato sulle traversine
mai individuata una regione
dai sassi della massicciata
dalle chine di erba sulla vallata
dai buchi che fanno entrare il mare
piano piano a passo d'uomo
pareva che il treno si facesse portare
tirato per le briglie come un cavallo
tirato dal suo padrone
A Napoli la galleria illuminata
bassa e sfasciata con la fermata
il treno che pare un balcone
qualcuno vuol salire attenzione
non fate salire nessuno
può essere una provocazione
si sporgono coi megafoni in mano
e un piede sullo scalino
e gridano gridano quello che hanno in mente
sono comizi la gente sente
ora passa la notte e con la luce
la ferrovia è tutta popolata
contadini e pastori che l'hanno sorvegliata
col gregge sparpagliato
la Calabria ci passa sotto i piedi ci passa
dal tetto di una casa una signora grassa
fa le corna e alza una mano
e un gruppo di bambini
ci guardano passare
e fanno il saluto romano
Ormai siamo a Reggio e la stazione
è tutta nera di gente
domani chiuso tutto in segno di lutto
ha detto Ciccio Franco "a sbarre"
e alla mattina c'era la paura
e il corteo non riusciva a partire
ma gli operai di Reggio sono andati in testa
e il corteo si è mosso improvvisamente
è partito a punta come un grosso serpente
con la testa corazzata
i cartelli schierati lateralmente
l'avevano tutto fasciato
volavano sassi e provocazioni
ma nessuno s'è neppure voltato
gli operai dell'Emilia-Romagna
guardavano con occhi stupiti
i metalmeccanici di Torino e Milano
puntavano in avanti tenendosi per mano
le voci rompevano il silenzio
e nelle pause si sentiva il mare
e il silenzio di quelli fermi
che stavano a guardare
e ogni tanto dalle vie laterali
si vedevano i sassi volare
e alla sera Reggio era trasformata
pareva una giornata di mercato
quanti abbracci e quanta commozione
"il Nord è arrivato nel Meridione"
e alla sera Reggio era trasformata
pareva una giornata di mercato
quanti abbracci e quanta commozione
gli operai hanno dato una dimostrazione.
per fare una grande manifestazione
il ventidue d'ottobre del '72
in curva il treno che pareva un balcone
quei balconi con la coperta per la processione
il treno era coperto di bandiere rosse
slogans, cartelli e scritte a mano
da Roma-Ostiense mille e duecento operai
vecchi e giovani e donne
con i bastoni e le bandiere arrotolate
portati tutti a mano sulle spalle
il treno parte e pare un incrociatore
tutti cantano Bandiera Rossa
dopo venti minuti che siamo in cammino
si ferma e non vuole più partire
si parla di una bomba sulla ferrovia
il treno torna alla stazione
tutti corrono coi megafoni in mano
richiamano «andiamo via Cassino
compagni da qui a Reggio è tutto un campo minato
chi vuole si rimetta in cammino»
dopo un'ora quel treno che pareva un balcone
ha ripreso la sua processione
anche a Cassino la linea è saltata
siamo tutti attaccati al finestrino
Roma Ostiense Cisterna Roma Termini Cassino
adesso siamo a Roma Tiburtino
il treno di Bologna è saltato a Piverno
è una notte è una notte d'inferno
i feriti tutti sono ripartiti
caricati sopra un altro treno
funzionari responsabili sindacalisti
sdraiati sulle reti dei bagagli
per scrutare meglio la massicciata
si sono tutti addormentati
dormono dormono profondamente
sopra le bombe non sentono più niente
l'importante adesso e' di essere partiti.
ma i giovani hanno gli occhi spalancati
vanno in giro tutti eccitati
mentre i vecchi sono stremati
dormono dormono profondamente
sopra le bombe non sentono più niente
Famiglie intere a tre generazioni
son venute tutte insieme da Torino
vanno dai parenti fanno una dimostrazione
dal treno non è sceso nessuno
la vecchia e la figlia alle rifiniture
il marito alla verniciatura
la figlia della figlia alle tappezzerie
stanno in viaggio ormai da più di venti ore
aspettano seduti sereni e contenti
sopra le bombe non gliene importa niente
aspettano che è tutta una vita
che stanno ad aspettare
per un certificato mattinate intere
anni e anni per due soldi di pensione
erano venti treni più forti del tritolo
guardare quelle facce bastava solo
con la notte le stelle e con la luna
i binari stanno luccicanti
mai guardati con tanta attenzione
e camminato sulle traversine
mai individuata una regione
dai sassi della massicciata
dalle chine di erba sulla vallata
dai buchi che fanno entrare il mare
piano piano a passo d'uomo
pareva che il treno si facesse portare
tirato per le briglie come un cavallo
tirato dal suo padrone
A Napoli la galleria illuminata
bassa e sfasciata con la fermata
il treno che pare un balcone
qualcuno vuol salire attenzione
non fate salire nessuno
può essere una provocazione
si sporgono coi megafoni in mano
e un piede sullo scalino
e gridano gridano quello che hanno in mente
sono comizi la gente sente
ora passa la notte e con la luce
la ferrovia è tutta popolata
contadini e pastori che l'hanno sorvegliata
col gregge sparpagliato
la Calabria ci passa sotto i piedi ci passa
dal tetto di una casa una signora grassa
fa le corna e alza una mano
e un gruppo di bambini
ci guardano passare
e fanno il saluto romano
Ormai siamo a Reggio e la stazione
è tutta nera di gente
domani chiuso tutto in segno di lutto
ha detto Ciccio Franco "a sbarre"
e alla mattina c'era la paura
e il corteo non riusciva a partire
ma gli operai di Reggio sono andati in testa
e il corteo si è mosso improvvisamente
è partito a punta come un grosso serpente
con la testa corazzata
i cartelli schierati lateralmente
l'avevano tutto fasciato
volavano sassi e provocazioni
ma nessuno s'è neppure voltato
gli operai dell'Emilia-Romagna
guardavano con occhi stupiti
i metalmeccanici di Torino e Milano
puntavano in avanti tenendosi per mano
le voci rompevano il silenzio
e nelle pause si sentiva il mare
e il silenzio di quelli fermi
che stavano a guardare
e ogni tanto dalle vie laterali
si vedevano i sassi volare
e alla sera Reggio era trasformata
pareva una giornata di mercato
quanti abbracci e quanta commozione
"il Nord è arrivato nel Meridione"
e alla sera Reggio era trasformata
pareva una giornata di mercato
quanti abbracci e quanta commozione
gli operai hanno dato una dimostrazione.
martedì 21 ottobre 2014
lunedì 20 ottobre 2014
Strandbeest
Theo Jansen (Scheveningen-L'Aja, 14 marzo 1948) è un artista olandese attivo soprattutto nel campo della scultura cinetica, con creazioni che si pongono al confine tra la creazione artistica e la progettazione ingegneristica.
Le sue più celebri creazioni sono le Strandbeesten (animali
da spiaggia), grandi strutture mobili costruite connettendo e articolando
sottili tubi gialli in PVC, del tipo in uso in elettrotecnica per la
canalizzazione dei cablaggi di impianti elettrici, assemblati con nastro
adesivo, elastici, e fascette serrafili. A questi materiali si aggiunge
l'impiego di bottiglie riciclate di polietilene, bastoni di legno e persino pallet.
Simili nell'aspetto a giganteschi insetti, o a grossi
scheletri animali, le sue creature sono in grado di camminare sulle spiagge
olandesi sfruttando l'energia del vento: nel tempo, hanno acquisito anche forme
di omeostasi, con la capacità di immagazzinare l'energia eolica in bottiglie,
sotto forma di aria compressa, per garantirsi forme di autonomia in assenza di
vento, ma anche con l'implementazione di forme rudimentali di abilità percettive
nei confronti dell'ambiente esterno, attraverso semplici sensori realizzati con
gli stessi materiali di base, e con l'implementazione di elementari forme di memorizzazione,
una combinazione di elementi che permette alle Strandbeest di modificare
il proprio comportamento sulla base delle percezioni.
(Wikipedia)
Forse
Forse verrà il giorno in
tutte le altre creature animali si vedranno riconosciuti quei diritti che
nessuno, che non sia un tiranno, avrebbe dovuto negar loro. I Francesi hanno già scoperto che il colore nero della
pelle non è una buona ragione perché un uomo debba essere abbandonato, per
motivi diversi da un atto di giustizia, al capriccio di un torturatore. Forse
un giorno si giungerà a riconoscere che il numero delle zampe, la villosità
della pelle o la terminazione dell'osso sacro sono ragioni altrettanto
insufficienti per abbandonare a quello stesso destino un essere senziente. In
base a che cos'altro si dovrebbe tracciare la linea insuperabile? In base alla
ragione? O alla capacità di parlare? Ma un cavallo o un cane che abbiano
raggiunto l'età matura sono senza confronto animali più razionali e più aperti
alla conversazione di un bambino di un giorno, di una settimana o di un mese.
Supponiamo che così non fosse; che cosa conterebbe? La domanda da porsi non è
se sanno ragionare, né se sanno parlare, bensì se possono soffrire.
Jeremy Bentham (1748 – 1832)
sabato 18 ottobre 2014
Ode alla molteplicità
Non capisco tutto e mi rallegro
persino che il mondo come un oceano
inquieto superi la mia capacità
di comprendere il senso dell’acqua, della
pioggia,
dei bagni nello Stagno del Fornaio, vicino
al confine boemo-tedesco, nel settembre
del 1980; dettaglio questo senza particolare
significato, un profondo stagno germanico.
Che l’Ego in crisi di ossigeno
respiri tranquillo, un nuotatore taglia la
linea
del meridiano, è sera, le civette si svegliano
dal sonno diurno, in lontananza
rombano pigramente le auto. Chi per una volta
ha sfiorato la filosofia è perduto,
non lo salverà la poesia, resterà
sempre, rimanenza
incalcolabile, la nostalgia. Chi per una volta
ha conosciuto
la folle corsa della poesia più non proverà
la quiete petrosa della prosa familiare
dove ogni capitolo è nido
di una generazione. Chi per una volta è vissuto
non
dimenticherà la delizia mutevole delle
stagioni, persino le bardane gli appariranno in
sogno e le ortiche e i ragni, solo
un poco più brutti delle rondini. Chi per una
volta
ha incontrato l’ironia sbufferà ridendo
durante la lezione del profeta, chi per una
volta
ha pregato non solo con le labbra asciutte
ricorderà la presenza di una strana eco
rimbalzata da una parete. Chi per una volta ha
taciuto non vorrà parlare durante
il dessert, chi è stato ustionato dallo shock
dell’amore farà ritorno ai libri con volto
mutato.
Rimani dritta, anima singola, di fronte
all’eccesso. Due occhi, due mani,
dieci dita ingegnose e
un solo Ego, un quarto d’arancia,
la più giovane delle sorelle. Il piacere
dell’udito non guasta il piacere
della vista, ma l’ebbrezza della libertà
distrugge
la pace degli altri sensi quieti.
La pace, un nulla spesso, pieno di dolce
succo come una pera a settembre.
Brevi istanti di felicità svaniscono
sotto una slavina di ossigeno, d’inverno una
cornacchia
solitaria batte il becco sulla bianca distesa
gelata del lago, una coppia di picchi impaurita
dall’accetta cerca sotto la mia
finestra un pioppo abbastanza malato.
Una donna dall’aria assente scrive
lunghe lettere e la nostalgia si gonfia come
l’oppio; in un museo egizio un papiro
bruno è intriso della stessa
nostalgia, più antica di alcuni
millenni, incrollabile e intatta.
Le lettere d’amore vanno sempre
a finire nei musei, i curiosi sono più
ostinati degli innamorati. L’Ego avido
trangugia l’aria, la ragione si risveglia
dal sonno diurno, il nuotatore esce
dall’acqua. Una donna avvenente posa per
la felicità, gli uomini fingono di essere
più coraggiosi di quanto non siano veramente,
il museo egizio non cela le debolezze
umane. Esistere, per esistere ancora,
forse offrendosi in affitto
a una delle gelide stelle. E talvolta
beffarsi di lei che è fredda e viscida
come una rana nello stagno. La poesia cresce
sulla
contraddizione, ma non la ricopre.
Adam Zagajewski
sabato 11 ottobre 2014
La precisione dell'amore
“Vado sempre in cerca di poesia, nutre una mia
batteria fondamentale, la cerco nei boschi, nella notte, negli alberi, negli
animali, nei libri, negli ascolti, negli sbagli. Soprattutto, nella mancanza.
Se accetto di mancare, di assaporare quel mio mancarmi sempre, arriva una
brezza di parole”
venerdì 10 ottobre 2014
Appocundria
Ci sono parole perfette,
che aprono un mondo e lo contengono, inspiegabili se non con complessi giri di
parole. Parole contenitori che raccontano l’apatia, l’indolenza, la
refrattarietà nate da sconforto e dolore, di quando si sta così male che niente
più sembra interessare, e il mondo ha frequenze che semplicemente non
interessano più, ché nulla può scalfire la condizione che si sta attraversando.
Questa parola è napoletana ed è «appocundria»
Davide Enia
mercoledì 8 ottobre 2014
E120
Il colorante rosso
cocciniglia, indicato nelle etichette con il numero E120, è di origine naturale: viene ottenuto
dal corpo essiccato di alcuni insetti della specie Dactylopius coccus che si nutrono della linfa delle
piante grasse ( in particolare cactus e fichi d’india) e secernono un liquido
colorato per proteggersi dai predatori.
Questa sostanza dal colore
rosso (detto anche carminio)
è presente soltanto nelle femmine e raggiunge la massima concentrazione
in quelle gravide.
Per produrre un
chilogrammo di colorante servono 100.000 insetti.
L’estrazione avviene
dalle uova essiccate oppure, se si vuole ottenere una
tinta più intensa e brillante, facendo essiccare direttamente l’insetto.
Successivamente vengono pulite, ridotte in polvere e trattate con ammoniaca o con
una soluzione di carbonato di sodio per estrarre l’acido carminico, che è la molecola
colorata. All’occorrenza viene aggiunta della calce per ottenere
sfumature di color porpora.
La cocciniglia viene purtroppo
utilizzata per la produzione della maggior parte dei coloranti rossi
nell’industria alimentare, per produrre prodotti di bellezza come fard e
rossetti, e in misura minore per la tintura dei vestiti. Nell’archivio di Trashfood
sono riportati diversi alimenti che contengono l’E120. Tra gli alimenti più
comuni consumati forse inconsapevolmente dai vegetariani (non parliamo dei
salumi e gli hamburger industriali, che lo contengono per dare una colorazione
maggiormente appetitosa alla carne), la cocciniglia si trova in prodotti per
bambini come il Fruttolo, nel Campari (ecco da dove viene il suo colore rosso
profondo), mentre la Lindt
lo usa nei cioccolatini Lindt Passion.
La FDA si è pronunciata sulla necessità di segnalare
nell’etichetta questo additivo e la sua origine in tutte le etichette degli
alimenti e i cosmetici per assicurarne un uso sicuro. Negli Stati Uniti,
alcune associazioni di consumatori hanno chiesto all’FDA che l’acido carminico
e composti simili vengano espressamente dichiarati in etichetta e ne venga
indicata l’origine animale, a tutela dei consumatori vegetariani stretti.
Iscriviti a:
Post (Atom)