mercoledì 29 ottobre 2014

Maledetto Sud



Per quanto non venisse mai teorizzata una separazione, l’idea che esistessero gli italiani del Nord e gli italiani del Sud era diffusa e condivisa fin già dagli anni Ottanta del Novecento, prima ancora dell’esplosione leghista, e nel tempo sarebbe diventata argomento di dibattito e di contrasto politico, di presunzioni e di retoriche identitarie. Sentirsi italiani non era facile, ma diventava una sorta di rivendicazione contro i separatismi leghisti e anche contro le ridondanti esibizioni di appartenenze localistiche. Un terreno scomodo, di confine, ma l’unico percorribile e l’unico ragionevole, a condizione di poter decostruire quelle retoriche e di guardare dentro alle ambiguità delle identità e, insieme alle bellezze, di appartenere a un luogo, di avere, come diceva Ernesto de Martino, una patria di riferimento. Dirsi o sentirsi o pensarsi di questo luogo e insieme dell’Italia non è operazione semplice e definitiva. E diventa sempre piú complicato nel momento in cui Nord e Sud, quasi come destra e sinistra, perdono gli antichi significati, e vanno collocati in un mondo piú vasto, globale, completamente nuovo rispetto al passato e ad ogni presente immaginato; un nuovo che spesso non lascia spazio all’idea di futuro e inevitabilmente porta a una sorta di restaurazione, di rimpianto, di rifiuto del passato. Sentirsi radicato e sradicato, qui e altrove, partito e rimasto, è forse la condizione dolce e dolorosa di chi capisce quanto sia diventato piú piccolo il mondo ed enormemente piú grandi i suoi problemi. Forse allora bisogna ripartire da una riflessione sulla possibilità e sulla necessità di sentirsi italiano, pure sentendo l’appartenenza a un luogo e a un mondo. Può significare comprendere che il riconoscimento profondo di un luogo può essere un possibile antidoto alla fine del mondo. Chi ha conosciuto la fine del proprio mondo non è piú disponibile ad accettare che finisca il Mondo. Questa riflessione incontra sempre il problema delle immagini, la potenza degli stereotipi, il senso di noi che è stato costruito nei secoli grazie anche a sguardi non sempre benevoli, anzi ostili e miopi, parziali e deformanti. Ci si chiede se liberarsi dalla «maledizione» di un’identità angusta, chiusa, inventata (come quella che oppone Nord a Sud) può spingere a trasformare il conflitto in benedizione, il risentimento in riconoscenza, l’autoassoluzione in consapevolezza dei propri errori, l’ostilità nei confronti degli altri in comprensione. Questo mio viaggio è, non a caso, mirato a smontare i luoghi comuni dei pregiudizi (anche propri) che segnano il Sud e le immagini di un mondo complesso che spesso si rovesciano se ricostruite attraverso uno sguardo storico, antropologico e letterario.


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