martedì 28 aprile 2015
Pensieri
Quando
i miei pensieri sono ansiosi, inquieti e cattivi, vado in riva al
mare, e il mare li annega e li manda via con i suoi grandi suoni
larghi, li purifica con il suo rumore, e impone un ritmo su tutto ciò
che in me è disorientato e confuso.
Rainer
Maria Rilke
sabato 25 aprile 2015
venerdì 24 aprile 2015
Puppy mills
Le “puppy mills” sono delle vere e proprie “fabbriche di cuccioli” dove si producono cani di qualsiasi razza, poi spediti come pacchi postali e venduti alle fiere del cucciolo o nei negozi di animali. La realtà di questi canifici è orribile: le fattrici vengono fatte accoppiare fin dal primo calore e non esiste per loro la parola “tregua”; anzi, per ottimizzare i tempi, vengono utilizzate iniezioni di ormoni che provocano i calori, così che possano essere coperte, partorire e sfornare cuccioli. Questo per tutta la vita, finché smettono di essere produttive e a quel punto “spariscono”, per far posto a cagnoline più giovani. Ai maschi non va meglio, a parte il momento dell’accoppiamento, trascorrono il resto della loro vita perennemente legati, in gabbia o in capannoni senza conoscere il piacere di una camminata sull’erba o di una carezza. Per chi li sfrutta, rappresentano esclusivamente delle macchine per fare soldi, che possono essere gettate e sostituite in qualsiasi momento; e non fa nulla se sono obbligati ad una vita caratterizzata da scarsissime condizioni igieniche, alimentazione scadente e privazione totale di qualsiasi forma di socializzazione. E anche loro, quando diventano “vecchi” sono soppressi senza troppi indugi. I cuccioli vengono tolti alle madri verso i 30-35 giorni quando sono a malapena svezzati, caricati sui camion e spediti alla volta di chi ha commissionato il cagnolino perfetto, ma rigorosamente a tariffa “low cost”; sono pagati dai commercianti circa 20-30 euro, per poi essere rivenduti a 200-400 euro. Aspettare qualche giorno in più significherebbe sobbarcarsi inutili costi di mantenimento e il rischio che cresciuti, piacciano di meno ai compratori. Messi in gabbie per uccellini o in cassette della frutta anche per due, tre giorni, i cuccioli muoiono per il caldo, per asfissia, per la sete, la fame o per malattie che già avevano in corso. Nessuno di questi piccoli è vaccinato, perché i controlli veterinari rappresenterebbero altri costi aggiuntivi e poi perché non è possibile somministrare alcun vaccino prima dei 50 giorni. Non hanno quindi ha alcun tipo di difesa contro qualsiasi malattia e sono esposti a rischi altissimi con conseguenze quasi sempre nefaste. Spesso, una volta giunti a destinazione, ai cuccioli viene iniettato un cocktail di gammaglobuline, antibiotici ed eccitanti, per farli apparire sani e vivaci, salvo poi, terminato l’effetto, cominciare a manifestare vari problemi, che non sono solo fisici. Staccati precocemente dalla madre e vissuti in un contesto privo di stimoli, potranno infatti sviluppare problemi di comportamento e di relazione, dimostrando problematiche che richiedono il supporto di un educatore.
mercoledì 22 aprile 2015
martedì 21 aprile 2015
Legge del mercato
Che in tutto fra tutte suprema sia
la legge del mercato, che a lei deva
subordinarsi restando utopia
per sempre tutto quello che solleva
la legge del mercato, che a lei deva
subordinarsi restando utopia
per sempre tutto quello che solleva
l’uomo da se stesso sembra alla mia
mente quasi incredibile. Ma alleva
menti per crederci l’economia
trionfante, fa che ciascuna s’imbeva
mente quasi incredibile. Ma alleva
menti per crederci l’economia
trionfante, fa che ciascuna s’imbeva
di quel credo miserabile e creda
a esso fieramente come al più santo
vangelo; e non ha scampo chi rimpianto
a esso fieramente come al più santo
vangelo; e non ha scampo chi rimpianto
dell’altro s’ostina finchè non ceda
di schianto il cuore a provare e di noia
trema dove per altri è ottusa gioia.
di schianto il cuore a provare e di noia
trema dove per altri è ottusa gioia.
Giovanni Raboni, da "Altri Sonetti"
lunedì 20 aprile 2015
Dischi (molto) importanti / 2000
Kid A è il
quarto album in studio dei Radiohead, pubblicato nel 2000.
L'album si è
posizionato al primo posto nella classifica dei cento migliori album degli anni
2000 secondo Rolling Stone
Un'altra
peculiarità dell'album è che, riproducendolo da un PC e utilizzando due
differenti lettori multimediali, avviando la riproduzione di una qualsiasi
canzone da ciascuno dei due lettori con una differenza di tempo di diciassette
secondi, si avrà una perfetta sovrapposizione dei due suoni che otterranno una
nuova canzone
sabato 18 aprile 2015
Vita dura
Fu chiaro fin dall'inizio che
ogniqualvolta c'era un lavoro da fare, il gatto si rendeva irreperibile.
George
Orwell, La fattoria degli animali
domenica 12 aprile 2015
Anicca
Ogni cosa esistente è impermanente.
Quando si comincia a osservare ciò,
con comprensione profonda e diretta esperienza,
allora ci si mantiene distaccati dalla sofferenza:
questo è il cammino della purificazione.
Quando si comincia a osservare ciò,
con comprensione profonda e diretta esperienza,
allora ci si mantiene distaccati dalla sofferenza:
questo è il cammino della purificazione.
Dhammapada, XX (277)
Anicca,
l'impermanenza
Il
cambiamento è inerente a ogni esistenza fenomenica. Non vi è nulla nel campo
animato o inanimato, organico o inorganico che possiamo definire permanente, e
anche se dessimo questa denominazione a qualcosa, inevitabilmente essa sarebbe
destinata a cambiare, a sottoporsi a qualche metamorfosi. Avendo compreso
questo fatto fondamentale attraverso l'esperienza diretta all'interno di se
stesso, il Buddha dichiarò:
Sia che nel mondo ci sia o no una persona
completamente illuminata, tuttavia rimane una condizione ferma, un fatto
immutabile e una legge fissata: tutte le formazioni fisiche e mentali sono
impermanenti, soggette alla sofferenza e prive di sostanza.
Anicca (impermanenza), dukkha (sofferenza) e anatta
(inconsistenza dell'io) sono le tre caratteristiche comuni ad ogni esistenza
cosciente. Tra queste, la più importante nella pratica di Vipassana è anicca.
Come meditatori ci troviamo ad affrontare l'impermanenza di noi stessi. Ciò ci
permette di comprendere che non abbiamo alcun controllo su questo fenomeno, e
che ogni tentativo di manipolarlo non ci crea altro che sofferenza. Impariamo
quindi a sviluppare il distacco e l'accettazione di questo fatto, l'apertura al
cambiamento, permettendoci così di vivere felicemente tra le vicissitudini
della vita. Perciò il Buddha disse:
Meditatori, a colui che percepisce l'impermanenza si
manifesta chiaramente la percezione della inconsistenza e mancanza di un io. E
in chi percepisce questa inconsistenza, l'egoismo viene distrutto. E, come
risultato, ottiene la liberazione persino in questa stessa vita. (…) chiunque
realizzi questi fatti si trova naturalmente sul cammino che conduce fuori dalla
sofferenza.
Salute precaria
Non si scrive con le proprie nevrosi. La
nevrosi, la psicosi, non sono passaggi di vita, ma stati in cui si cade quando
il processo è interrotto, impedito, chiuso. La malattia non è processo, ma
arresto del processo, come nel “caso Nietzsche”. Così lo scrittore in quanto
tale non è malato, ma piuttosto medico, medico di se stesso e del mondo. Il
mondo è l’insieme dei sintomi di una malattia che coincide con l’uomo. La
letteratura appare allora come un’impresa di salute: non che lo scrittore abbia
necessariamente una salute vigorosa, ma gode di un’irresistibile salute
precaria che deriva dall’aver visto e sentito cose troppo grandi, troppo forti
per lui, irrespirabili, il cui passaggio lo sfinisce, ma gli apre dei divenire
che una buona salute dominante renderebbe impossibili. Da quel che ha visto e
sentito, lo scrittore torna con gli occhi rossi, i timpani perforati.
Gilles
Deleuze, Critica e clinica
venerdì 10 aprile 2015
giovedì 9 aprile 2015
Non una parola di più
Bene, e siamo arrivati a quanto ti avevo
promesso facendoti un riassunto noiosissimo di quello che c’è voluto per
arrivarci senza perdere la fiducia. Cioè com’è morire, che cosa succede.
Giusto? È quello che vogliono sapere tutti. Anche tu, dammi retta. Che ti
decida ad andare sino in fondo o meno, che io ti dissuada in qualche modo come
pensi che cercherò di fare o meno. Intanto, non è come si pensa. La verità è
che sai già com’è. Conosci già la differenza tra l’ammontare e la velocità di
tutto quello che ti balena dentro e quella parte infinitesimale e inadeguata
che riusciresti a comunicare. Come se dentro di te ci fosse questa enorme
stanza piena si direbbe di tutto quello che prima o poi è presente
nell’universo e invece le uniche parti che ne emergono devono in qualche modo
essere spremute attraverso uno di quei piccolissimi buchi della serratura che
si vedono sotto il pomello delle vecchie porte. Come se cercassimo di vederci
fra di noi attraverso quei minuscoli buchi. Ma un pomello ce l’ha, la porta si
può aprire. Ma non nel modo che pensi tu. E anche se ci riuscissi? Pensaci un
attimo: e se tutti i mondi infinitamente densi e mutevoli dentro di te ogni istante
della tua vita a questo punto si rivelassero in qualche modo completamente
aperti ed esprimibili dopo, dopo la morte di quello che ritieni essere te, e se
dopo questo momento ciascun istante fosse in sé un mare o uno spazio o un
tratto di tempo infinito in cui esprimerlo o comunicarlo, senza neanche il
bisogno di una lingua organizzata, e ti bastasse come si suol dire aprire la
porta e trovarti nella stanza di chiunque altro in tutte le tue multiformi
forme e idee e sfaccettature? Perché stammi a sentire – non abbiamo molto
tempo, (…) perciò stammi a sentire: tu con precisione che cosa pensi di essere?
I milioni e i bilioni di pensieri, ricordi, giustapposizioni – anche i più
folli, come questo, penserai – che ti balenano nella mente e scompaiono? Una
loro somma o rimanenza? La tua storia? Lo sai da quanto ti vado dicendo che
sono un impostore?
(...)
E se il tempo non fosse passato? La verità è che questo tu l’hai
già sentito. Che le cose stanno così. Che è questo a fare spazio per l’universo
dentro di te, tutti gli infiniti frattali di collegamento ripiegati su se
stessi e le armonie di voci diverse, le infinità che non puoi mai mostrare a
un’altra anima. E tu pensi che faccia di te un impostore, quella minima
frazione che agli altri è dato scorgere? Certo, sei un impostore, certo, quello
che gli altri vedono non sei mai tu. E tu certo lo sai, e tu certo cercherai di
manovrare quella parte che vedono se sai che è solo una parte. Chi non lo
farebbe? Si chiama libero arbitrio, caro il mio Sherlock. Ma ecco al tempo
stesso perché fa così bene crollare e mettersi a piangere davanti agli altri, o
a ridere, o a parlare strane lingue, o a salmodiare in bengali – non si tratta
più di una lingua, né di spremersi per passare attraverso un buco.
Perciò piangi pure quanto ti pare, non lo dirò a nessuno.
Ma cambiare idea non avrebbe fatto di te un impostore. Sarebbe triste farlo perché sei convinto di doverlo fare. Però non soffrirai. Sarà rumoroso, e proverai delle cose, ma ti attraverseranno così velocemente che non ti renderai nemmeno conto di averle provate (…) E il brevissimo momento di fuoco che sentirai sarà quasi bello, come quando hai le mani fredde e c’è un fuoco e tu le protendi verso la fiamma.
La realtà è che morire non è brutto, ma dura per sempre. E per sempre non rientra nel tempo. Lo so che sembra una contraddizione, o magari un gioco di parole. In realtà si tratta, a ben vedere, di una questione di prospettiva.
Perciò piangi pure quanto ti pare, non lo dirò a nessuno.
Ma cambiare idea non avrebbe fatto di te un impostore. Sarebbe triste farlo perché sei convinto di doverlo fare. Però non soffrirai. Sarà rumoroso, e proverai delle cose, ma ti attraverseranno così velocemente che non ti renderai nemmeno conto di averle provate (…) E il brevissimo momento di fuoco che sentirai sarà quasi bello, come quando hai le mani fredde e c’è un fuoco e tu le protendi verso la fiamma.
La realtà è che morire non è brutto, ma dura per sempre. E per sempre non rientra nel tempo. Lo so che sembra una contraddizione, o magari un gioco di parole. In realtà si tratta, a ben vedere, di una questione di prospettiva.
David Foster Wallace, da Caro Vecchio Neon, in "Oblio"
Pensieri e parole
So che tu sai bene quanto me come i
pensieri e le associazioni mentali attraversino fulminei la testa. Magari ti
trovi nel mezzo di una riunione creativa al lavoro o roba del genere e per la
testa ti passa tanto di quel materiale in quei brevi istanti di silenzio in cui
i partecipanti scorrono i propri appunti in attesa della presentazione
successiva che ci vorrebbe un tempo esponenzialmente più lungo dell’intera
riunione soltanto per tradurre in parole il flusso di pensieri sorto nel
silenzio di quei pochi secondi. Ecco un altro paradosso: nella vita di una
persona la maggior parte dei pensieri e delle impressioni più importanti
attraversano la mente così rapidi che rapidi non è nemmeno la parola giusta,
sembrano totalmente diversi o estranei al cronometro che scandisce regolarmente
la nostra vita, e hanno così pochi legami con quella lingua lineare, fatta di
tante parole messe in fila, necessaria a comunicare fra di noi, che dire per
esteso pensieri e collegamenti contenuti nel lampo di una frazione di secondo
richiederebbe come minimo una vita intera ecc. – eppure sembra che andiamo
tutti in giro cercando di usare la lingua (quale che sia, a seconda del paese
d’origine) per cercare di comunicare agli altri quello che pensiamo e per
scoprire quello che pensano loro, quando in fondo lo sanno tutti che in realtà
si tratta di una messinscena e che si limitano a far finta. Quello che avviene
dentro è troppo veloce, immenso e interconnesso e alle parole non rimane che
limitarsi a tratteggiarne ogni istante a grandi linee al massimo una
piccolissima parte. La velocità mentale interna o quello che è di queste idee o
ricordi, percezioni o emozioni e via dicendo è perfino più veloce – esponenzialmente,
inimmaginabilmente più veloce – in punto di morte, cioè durante quel
nanosecondo così minuscolo e sul punto di sparire che separa il momento in cui
si muore tecnicamente da ciò che avviene subito dopo, perciò in realtà il
cliché sull’intera esistenza che scorre come un lampo davanti agli occhi di chi
è in punto di morte non è poi così peregrina – anche se in questo caso intera
esistenza non vuol dire una sequela ininterrotta dove prima nasci e poi sei
nella culla e poi sei al piatto nella squadra dell’American Legion ecc., che in
fondo è quello che pensano un po’ tutti quando dicono «la mia intera
esistenza», riferendosi a una serie cronologica, discontinua, di momenti che
mettono in fila e chiamano vita. Non è affatto cosi. Non mi viene in mente un
modo migliore per dirlo se non che succede tutt’a un tratto, ma questo a un
tratto non significa certo un momento finito di tempo all’interno di una
sequela ininterrotta nei termini in cui consideriamo il tempo quando siamo
vivi, e poi quello che risulta essere il significato dell’espressione la mia
vita non si avvicina neanche lontanamente a quello che crediamo di dire quando
diciamo «la mia vita». Le parole e il tempo cronologico creano tutti questi
equivoci assoluti su quello che succede per davvero a livello elementare.
Eppure al tempo stesso la lingua è tutto ciò che abbiamo per cercare di capirlo
e per cercare di instaurare qualcosa di più vasto o più significativo e vero
con gli altri, il che è un altro paradosso.
Impostore
Per tutta la vita sono
stato un impostore. E non esagero. Ho praticamente passato tutto il mio tempo a
creare un’immagine di me da offrire agli altri. Più che altro per piacere o per
essere ammirato. Forse è un po’ più complicato di così. Ma se andiamo a
stringere il succo è quello: piacere, essere amati. Ammirati, approvati,
applauditi, fa’ un po’ tu. Ci siamo capiti. A scuola andavo bene, ma alla base
di tutto il motivo non era imparare o migliorarmi ma solo fare bene, ottenere
buoni voti, entrare nelle squadre sportive e fare la mia bella figura. Avere
una buona pagella o le iniziali dell’università da sfoggiare. Senza grande
soddisfazione perché avevo sempre il timore di non aver fatto abbastanza bene.
La paura mi faceva sgobbare come un mulo, per fare sempre bene e riuscire a
ottenere quello che volevo. Adoperando tutto questo tempo e
quest’energia per creare una certa immagine di me e ricevere quell’approvazione
o quell’accoglienza che poi però non mi dava niente perché non aveva niente a
che fare con chi ero realmente dentro, e mi facevo schifo per essere
sempre un tale impostore, ma sembrava che non potessi farne a meno.
domenica 5 aprile 2015
Tempo
Viviamo nel tempo; il
tempo ci forgia e ci contiene, eppure non ho mai avuto la sensazione di capirlo
fino in fondo. Non mi riferisco alle varie teorie su curvature e accelerazioni
né all’eventuale esistenza di dimensioni parallele in un altrove qualsiasi. No,
sto parlando del tempo comune, quotidiano, quello che orologi e cronometri ci
assicurano scorra regolarmente: tic tac, tic toc. Esiste al mondo una cosa piú
ragionevole di una lancetta dei secondi? Ma a insegnarci la malleabilità del
tempo basta un piccolissimo dolore, il minimo piacere. Certe emozioni lo
accelerano, altre lo rallentano; ogni tanto sembra sparire fino a che in
effetti sparisce sul serio e non si presenta mai piú.
Julian Barnes, Il
senso di una fine
sabato 4 aprile 2015
Spiaccicamento delle gocce
Non so come dire, guarda, è terribile questa pioggia. Piove continuamente,
fuori fitto e grigio, qui contro i vetri del balcone a goccioloni grevi e duri,
che fanno plaf e si spiaccicano come schiaffi uno dopo l’altro, che noia. Ecco
una gocciolina alta sul riquadro della finestra, vibra un attimo contro il
cielo che la scheggia in mille luccichii spenti, cresce si ingrossa barcolla,
cadrà non cadrà, non è ancora caduta. Si afferra con tutte le unghie, non vuole
cadere e si vede che si aggrappa con i denti mentre le si gonfia la pancia, è
ormai una gocciolona che pende maestosa e, di colpo, zup giù, plaf, disfatta,
niente, una viscosità sul marmo.
Ma ci sono quelle che si suicidano e si abbandonano subito, spuntano sul riquadro e di lì si gettano giù; mi pare di vedere la vibrazione del salto, le loro gambette che si staccano e il grido che le ubriaca nel nulla della caduta e dell’annichilimento. Tristi gocce, rotonde innocenti gocce. Addio gocce. Addio.
Ma ci sono quelle che si suicidano e si abbandonano subito, spuntano sul riquadro e di lì si gettano giù; mi pare di vedere la vibrazione del salto, le loro gambette che si staccano e il grido che le ubriaca nel nulla della caduta e dell’annichilimento. Tristi gocce, rotonde innocenti gocce. Addio gocce. Addio.
Cortazar,
Storie di Cronopios e di Fama
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