Bene, e siamo arrivati a quanto ti avevo
promesso facendoti un riassunto noiosissimo di quello che c’è voluto per
arrivarci senza perdere la fiducia. Cioè com’è morire, che cosa succede.
Giusto? È quello che vogliono sapere tutti. Anche tu, dammi retta. Che ti
decida ad andare sino in fondo o meno, che io ti dissuada in qualche modo come
pensi che cercherò di fare o meno. Intanto, non è come si pensa. La verità è
che sai già com’è. Conosci già la differenza tra l’ammontare e la velocità di
tutto quello che ti balena dentro e quella parte infinitesimale e inadeguata
che riusciresti a comunicare. Come se dentro di te ci fosse questa enorme
stanza piena si direbbe di tutto quello che prima o poi è presente
nell’universo e invece le uniche parti che ne emergono devono in qualche modo
essere spremute attraverso uno di quei piccolissimi buchi della serratura che
si vedono sotto il pomello delle vecchie porte. Come se cercassimo di vederci
fra di noi attraverso quei minuscoli buchi. Ma un pomello ce l’ha, la porta si
può aprire. Ma non nel modo che pensi tu. E anche se ci riuscissi? Pensaci un
attimo: e se tutti i mondi infinitamente densi e mutevoli dentro di te ogni istante
della tua vita a questo punto si rivelassero in qualche modo completamente
aperti ed esprimibili dopo, dopo la morte di quello che ritieni essere te, e se
dopo questo momento ciascun istante fosse in sé un mare o uno spazio o un
tratto di tempo infinito in cui esprimerlo o comunicarlo, senza neanche il
bisogno di una lingua organizzata, e ti bastasse come si suol dire aprire la
porta e trovarti nella stanza di chiunque altro in tutte le tue multiformi
forme e idee e sfaccettature? Perché stammi a sentire – non abbiamo molto
tempo, (…) perciò stammi a sentire: tu con precisione che cosa pensi di essere?
I milioni e i bilioni di pensieri, ricordi, giustapposizioni – anche i più
folli, come questo, penserai – che ti balenano nella mente e scompaiono? Una
loro somma o rimanenza? La tua storia? Lo sai da quanto ti vado dicendo che
sono un impostore?
(...)
E se il tempo non fosse passato? La verità è che questo tu l’hai
già sentito. Che le cose stanno così. Che è questo a fare spazio per l’universo
dentro di te, tutti gli infiniti frattali di collegamento ripiegati su se
stessi e le armonie di voci diverse, le infinità che non puoi mai mostrare a
un’altra anima. E tu pensi che faccia di te un impostore, quella minima
frazione che agli altri è dato scorgere? Certo, sei un impostore, certo, quello
che gli altri vedono non sei mai tu. E tu certo lo sai, e tu certo cercherai di
manovrare quella parte che vedono se sai che è solo una parte. Chi non lo
farebbe? Si chiama libero arbitrio, caro il mio Sherlock. Ma ecco al tempo
stesso perché fa così bene crollare e mettersi a piangere davanti agli altri, o
a ridere, o a parlare strane lingue, o a salmodiare in bengali – non si tratta
più di una lingua, né di spremersi per passare attraverso un buco.
Perciò piangi pure quanto ti pare, non lo dirò a nessuno.
Ma cambiare idea non avrebbe fatto di te un impostore. Sarebbe triste farlo perché sei convinto di doverlo fare. Però non soffrirai. Sarà rumoroso, e proverai delle cose, ma ti attraverseranno così velocemente che non ti renderai nemmeno conto di averle provate (…) E il brevissimo momento di fuoco che sentirai sarà quasi bello, come quando hai le mani fredde e c’è un fuoco e tu le protendi verso la fiamma.
La realtà è che morire non è brutto, ma dura per sempre. E per sempre non rientra nel tempo. Lo so che sembra una contraddizione, o magari un gioco di parole. In realtà si tratta, a ben vedere, di una questione di prospettiva.
Perciò piangi pure quanto ti pare, non lo dirò a nessuno.
Ma cambiare idea non avrebbe fatto di te un impostore. Sarebbe triste farlo perché sei convinto di doverlo fare. Però non soffrirai. Sarà rumoroso, e proverai delle cose, ma ti attraverseranno così velocemente che non ti renderai nemmeno conto di averle provate (…) E il brevissimo momento di fuoco che sentirai sarà quasi bello, come quando hai le mani fredde e c’è un fuoco e tu le protendi verso la fiamma.
La realtà è che morire non è brutto, ma dura per sempre. E per sempre non rientra nel tempo. Lo so che sembra una contraddizione, o magari un gioco di parole. In realtà si tratta, a ben vedere, di una questione di prospettiva.
David Foster Wallace, da Caro Vecchio Neon, in "Oblio"
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