So che tu sai bene quanto me come i
pensieri e le associazioni mentali attraversino fulminei la testa. Magari ti
trovi nel mezzo di una riunione creativa al lavoro o roba del genere e per la
testa ti passa tanto di quel materiale in quei brevi istanti di silenzio in cui
i partecipanti scorrono i propri appunti in attesa della presentazione
successiva che ci vorrebbe un tempo esponenzialmente più lungo dell’intera
riunione soltanto per tradurre in parole il flusso di pensieri sorto nel
silenzio di quei pochi secondi. Ecco un altro paradosso: nella vita di una
persona la maggior parte dei pensieri e delle impressioni più importanti
attraversano la mente così rapidi che rapidi non è nemmeno la parola giusta,
sembrano totalmente diversi o estranei al cronometro che scandisce regolarmente
la nostra vita, e hanno così pochi legami con quella lingua lineare, fatta di
tante parole messe in fila, necessaria a comunicare fra di noi, che dire per
esteso pensieri e collegamenti contenuti nel lampo di una frazione di secondo
richiederebbe come minimo una vita intera ecc. – eppure sembra che andiamo
tutti in giro cercando di usare la lingua (quale che sia, a seconda del paese
d’origine) per cercare di comunicare agli altri quello che pensiamo e per
scoprire quello che pensano loro, quando in fondo lo sanno tutti che in realtà
si tratta di una messinscena e che si limitano a far finta. Quello che avviene
dentro è troppo veloce, immenso e interconnesso e alle parole non rimane che
limitarsi a tratteggiarne ogni istante a grandi linee al massimo una
piccolissima parte. La velocità mentale interna o quello che è di queste idee o
ricordi, percezioni o emozioni e via dicendo è perfino più veloce – esponenzialmente,
inimmaginabilmente più veloce – in punto di morte, cioè durante quel
nanosecondo così minuscolo e sul punto di sparire che separa il momento in cui
si muore tecnicamente da ciò che avviene subito dopo, perciò in realtà il
cliché sull’intera esistenza che scorre come un lampo davanti agli occhi di chi
è in punto di morte non è poi così peregrina – anche se in questo caso intera
esistenza non vuol dire una sequela ininterrotta dove prima nasci e poi sei
nella culla e poi sei al piatto nella squadra dell’American Legion ecc., che in
fondo è quello che pensano un po’ tutti quando dicono «la mia intera
esistenza», riferendosi a una serie cronologica, discontinua, di momenti che
mettono in fila e chiamano vita. Non è affatto cosi. Non mi viene in mente un
modo migliore per dirlo se non che succede tutt’a un tratto, ma questo a un
tratto non significa certo un momento finito di tempo all’interno di una
sequela ininterrotta nei termini in cui consideriamo il tempo quando siamo
vivi, e poi quello che risulta essere il significato dell’espressione la mia
vita non si avvicina neanche lontanamente a quello che crediamo di dire quando
diciamo «la mia vita». Le parole e il tempo cronologico creano tutti questi
equivoci assoluti su quello che succede per davvero a livello elementare.
Eppure al tempo stesso la lingua è tutto ciò che abbiamo per cercare di capirlo
e per cercare di instaurare qualcosa di più vasto o più significativo e vero
con gli altri, il che è un altro paradosso.
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