Non si scrive con le proprie nevrosi. La
nevrosi, la psicosi, non sono passaggi di vita, ma stati in cui si cade quando
il processo è interrotto, impedito, chiuso. La malattia non è processo, ma
arresto del processo, come nel “caso Nietzsche”. Così lo scrittore in quanto
tale non è malato, ma piuttosto medico, medico di se stesso e del mondo. Il
mondo è l’insieme dei sintomi di una malattia che coincide con l’uomo. La
letteratura appare allora come un’impresa di salute: non che lo scrittore abbia
necessariamente una salute vigorosa, ma gode di un’irresistibile salute
precaria che deriva dall’aver visto e sentito cose troppo grandi, troppo forti
per lui, irrespirabili, il cui passaggio lo sfinisce, ma gli apre dei divenire
che una buona salute dominante renderebbe impossibili. Da quel che ha visto e
sentito, lo scrittore torna con gli occhi rossi, i timpani perforati.
Gilles
Deleuze, Critica e clinica
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