Piegati
da un peso
che
non sempre si vede
avanzano
nel fango o nella sabbia del deserto,
chini,
affamati,
uomini
di poche parole dai pesanti caffettani,
adatti
a tutte le stagioni,
donne
vecchie dai volti sciupati
che
portano qualcosa, un neonato, una lampada
-
un ricordo- oppure l'ultimo tozzo di pane.
Può
essere la Bosnia, oggi,
la
Polonia nel settembre '39, la Francia
otto
mesi più tardi, la Turingia nel '45,
la
Somalia, l'Afghanistan o l'Egitto.
C'è
sempre un carro, o almeno un carretto,
colmo
di tesori (il piumino, la tazza d'argento
e
il profumo di casa che presto svanisce),
un'auto
senza benzina abbandonata nel fosso,
un
cavallo (che sarà tradito), la neve, molta neve,
troppa
neve, troppo sole, troppa pioggia,
e
quel caratteristico curvarsi,
come
verso un altro pianeta, migliore,
con
generali meno ambiziosi,
meno
cannoni, meno neve, meno vento,
meno
Storia (purtroppo un simile pianeta
non
esiste, resta solo il curvarsi).
Tascinando
i piedi,
vanno
lentamente, molto lentamente,
verso
il paese da nessuna parte,
verso
la città nessuno,
sul
fiume mai.
Adam
Zagajewski, I profughi
Aleppo,
Siria
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