Il
post tratta di studi sulla percezione del terrorismo e altri pericoli
imminenti come cancro o cambiamento climatico, e paragona la
percezione alla probabilità statistica che ciò avvenga. Se però da
una parte il terrorismo è un tema quotidiano, dall’altra è un
pericolo molto meno probabile e imminente rispetto ad avvenimenti
meno trattati come il surriscaldamento. Questo non basta a fermare i
governi occidentali dall’aumentare gli investimenti in difesa, né
la stampa mondiale dal trattare le quattro vittime di Londra con due
pesi e due misure.
L’attentato
a Westminister
ha risollevato il polverone sul terrorismo.
Lo ha fatto in un periodo in cui la chiusura delle frontiere,
l’aumento di spese militari o il farsi giustizia da soli contro i
migranti sono temi sulla bocca di leader politici e opinionisti. I
quotidiani di tutto i mondo aprono con le foto di Londra mentre
l’Italia si blinda e aumenta i controlli. “Terrorismo”
è stato il tema più trattato dalla stampa nel 2015, insieme a
“guerra e religione”
e “migranti”.
Campagne di successo come la
Brexit
e l’elezione
di Trump
hanno trattato il binomio migrazione e terrorismo islamico come
caposaldo delle proprie demagogie più popolari.
Molti
potranno essere indifferenti per la morte,
alla tenera età di 25 milioni di anni, della Great
Barrier Reef,
la più grande barriera corallina al mondo, e per l’impatto che ciò
sta avendo sul pianeta. Allo stesso modo non è scontato discutere
delle strepitose innovazioni
sociali e sanitarie
in grado di salvare milioni di vite. C’è un tema però di cui
tutti parlano e che viene temuto come un pericolo imminente e una
minaccia quotidiana, il
terrorismo islamico.
Ma è questa percezione in linea con la realtà?
Il
grafico a cura di Susanna
Hertrich,
ricercatrice nel campo della meta-percezione,
compara l’attenzione dell’opinione pubblica e dei media su alcuni
temi, con le probabilità statistiche che ciò che di cui parlano si
realizzi.
Ora va detto che nell’ultimo anno i morti per terrorismo nei paesi Ocse sono cresciuti del 650%, nonostante nel mondo siano in calo del 10%. Tuttavia, secondo il Center for Disease control and prevention, la probabilità di morire per un attentato (non per forza islamico) è appena una su 20 milioni, due volte meno probabile che perdere la vita in ascensore e cento volte meno probabile che essere colpiti da un asteroide. In confronto si ha circa una possibilità su cinque di morire di cancro. Mentre secondo il Global priorities project la probabilità di perire in un incidente d’auto è una su 10mila, dieci volte minore di quella causata da eventi catastrofici legati al cambiamento climatico, i quali ogni anno divengono sempre più probabili. Morire per il cambiamento climatico è dunque 20mila volte più probabile che perdere la vita in un attacco terroristico. Non consideriamo poi il fatto che la possibilità di esser uccisi da un attentato ad opera di un rifugiato è una su 3,6 miliardi, né che questi dati riguardino prevalentemente gli Usa, dove il terrorismo uccide molto di più che in Italia, luogo in cui i fondamentalisti islamici non causano stragi da oltre 30 anni.
(…)
Nel
2017 in Italia spenderemo 64
milioni di euro al giorno
in difesa,
una crescita del 21% in 10 anni. Mentre in
ricerca e sviluppo,
ovvero nell’unica soluzione a pericoli più imminenti, investiamo
349 milioni milioni all’anno
(altro che al giorno).
Di
conseguenza se proprio vogliamo parlare di terrorismo, oltre che sui
dati, perché non ragionare su quanto ricerca
e innovazione
stiano progredendo in questo campo? Il mondo è ricco di iniziative
di integrazione
che, quotidianamente, lottano con successo per scongiurare
i conflitti religiosi,
ma che sono praticamente sconosciute.
(…)
Solo
cambiando
il nostro approccio alla comunicazione
e riappropriandoci del senso
della misura
potremo sperare di attraversare l’immenso mare che separa
percezione
e realtà.
Questo è lo stesso vuoto che intercorre tra la post-verità
e le verità
dei fatti,
e che oggi compromette le vite e le coscienze di milioni di persone.
di
Gian
Luca Atzori
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