Con
Napoli, comunque, i conti non sono mai chiusi, anche a distanza. Sono
vissuta non per breve tempo in altri luoghi, ma questa città non è
un luogo qualsiasi, è un prolungamento del corpo, è una matrice
della percezione, è il termine di paragone di ogni esperienza. Tutto
ciò che per me è stato durevolmente significativo ha Napoli per
scenario e suona nel suo dialetto. Questa enfasi però è recente ed
è il frutto di rivisitazioni da lontano. La città in cui sono
cresciuta l’ho vista a lungo come un posto in cui mi sentivo
continuamente a rischio. Era una città di litigi improvvisi, di
mazzate, di lacrime facili, di piccoli conflitti che finivano in
bestemmie, oscenità irriferibili e fratture insanabili, di affetti
così esibiti da diventare insopportabilmente falsi. La mia Napoli è
la Napoli “volgare” di gente “sistemata” ma ancora
terrorizzata dalla necessità di tornare a doversi buscare la
giornata con lavoretti precari, pomposamente onesta, ma, nei fatti,
pronta a piccole nefandezze, per non sfigurare, chiassosa, di voce
alta, sbruffona, laurina, ma anche per certe ramificazioni,
stalinista, affogata nel dialetto più angoloso, sboccata e sensuale,
senza ancora il decoro piccolo-borghese ma con la pulsione a darsene
almeno i segni superficiali, per bene e potenzialmente criminale,
pronta a immolarsi all’occasione o alla necessità di non
dimostrarsi più fesso degli altri.
Mi sono sentita diversa da questa Napoli, l’ho vissuta con repulsione, sono scappata via appena ho potuto, me la sono portata dietro come sintesi, un surrogato per tenere sempre a mente che la potenza della vita è lesa, umiliata da modalità ingiuste dell’esistenza. Da molto tempo, però, la guardo al microscopio. Isolo frammenti, ci scendo dentro, scopro cose buone che da ragazza non vedevo e altre che mi appaiono ancora più miserabili di allora. Ma neanche per queste provo più il vecchio astio. Alla fin fine è un’esperienza di città che non si cancella nemmeno volendo e che risulta utile dappertutto. Posso girare per strade e vicoli semplicemente standomene a letto a occhi chiusi; quando ci torno ho momenti iniziali di entusiasmo incontenibile; poi passo ad odiarla nel giro di un pomeriggio, regredisco, ritorno muta, avverto un senso di soffocamento, un malessere diffuso, mi pare di aver colto da ragazzina non una sua fase limitata nel tempo e nello spazio ma i segni di una degenerazione che ormai si è espansa, cosicché la città, coi suoi richiami di tempo perduto da ritrovare, o con le improvvise rammemorazioni, fa solo da sirena perversa, usa strade, vicoli, quella salita, quella discesa, la bellezza avvelenata del golfo, ma nei fatti resta un luogo di scomposizione, di disarticolazione, di perdita della testa che ho imparato a fatica a far funzionare un poco, fuori di lei. E tuttavia è la mia esperienza, vi custodisco molti affetti importanti, sento la ricchezza umana, gli strati complessi delle culture. Ho smesso di sottrarmela.
Mi sono sentita diversa da questa Napoli, l’ho vissuta con repulsione, sono scappata via appena ho potuto, me la sono portata dietro come sintesi, un surrogato per tenere sempre a mente che la potenza della vita è lesa, umiliata da modalità ingiuste dell’esistenza. Da molto tempo, però, la guardo al microscopio. Isolo frammenti, ci scendo dentro, scopro cose buone che da ragazza non vedevo e altre che mi appaiono ancora più miserabili di allora. Ma neanche per queste provo più il vecchio astio. Alla fin fine è un’esperienza di città che non si cancella nemmeno volendo e che risulta utile dappertutto. Posso girare per strade e vicoli semplicemente standomene a letto a occhi chiusi; quando ci torno ho momenti iniziali di entusiasmo incontenibile; poi passo ad odiarla nel giro di un pomeriggio, regredisco, ritorno muta, avverto un senso di soffocamento, un malessere diffuso, mi pare di aver colto da ragazzina non una sua fase limitata nel tempo e nello spazio ma i segni di una degenerazione che ormai si è espansa, cosicché la città, coi suoi richiami di tempo perduto da ritrovare, o con le improvvise rammemorazioni, fa solo da sirena perversa, usa strade, vicoli, quella salita, quella discesa, la bellezza avvelenata del golfo, ma nei fatti resta un luogo di scomposizione, di disarticolazione, di perdita della testa che ho imparato a fatica a far funzionare un poco, fuori di lei. E tuttavia è la mia esperienza, vi custodisco molti affetti importanti, sento la ricchezza umana, gli strati complessi delle culture. Ho smesso di sottrarmela.
Elena Ferrante
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