In
certe occasioni, di fronte agli eventi, noi sappiamo di dover
rifiutare. Il rifiuto è assoluto, categorico. Non si discute, né
sente ragioni. Anche quando, se occorre, si palesa solitario e senza
parole alla luce del sole. Gli uomini che rifiutano, legati dalla
forza del rifiuto, sanno di non essere ancora insieme. Il tempo
dell’affermazione comune, per l’appunto, gli è stato tolto. Ciò
che gli resta è il rifiuto irriducibile, l’amicizia di questo No
sicuro, irremovibile, rigoroso, che li rende uniti e solidali.
Il
movimento del rifiutare è raro e difficile, benché costante e
uguale in ciascuno di noi dal momento in cui lo facciamo nostro.
Perché difficile? Perché ci occorre rifiutare non solo il peggio,
ma anche una parvenza di ragione, una soluzione che ci dicono felice
e addirittura insperata. (…)
Ciò che rifiutiamo non è senza
valore, né senza importanza. È proprio per questo che il rifiuto è
necessario. C’è una ragione che non accetteremo più, c’è
un’apparenza di saggezza che ci fa orrore, c’è un’offerta di
accordo e di conciliazione che non ascolteremo. Si è prodotta una
rottura. Siamo stati condotti a questa franchezza che non tollera più
la complicità.
Quando noi rifiutiamo, lo facciamo attraverso un
movimento senza disprezzo, senza esaltazione e, per quanto è
possibile, anonimo, perché il potere di rifiutare non si compie con
noi stessi, né soltanto in nostro nome, ma a partire da un inizio
assai semplice che appartiene innanzi tutto a chi non può parlare.
Maurice Blanchot
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