Per vivere in un paese devi
dismettere ogni arroganza. Non importa se la nascondi o la fai fluire.
L’arroganza si sente, agisce come un acido che corrode i tuoi legami con gli
altri. Il paese è una creatura che ti
chiede misericordia. Devi sentirti come un cane bastonato. Non devi sentirti
uno che ha qualcosa da insegnare, uno che vuole cambiare la sua vita e quella
degli altri. Il paese ti chiede di amare quello che sei e quello che il paese
è. Non devi fare altro. Quelli che
vengono dalle città solo per un giorno fanno sempre la stessa domanda: ma qui
di cosa si vive? È la domanda di chi pensa di essere in piedi, in sella al
cavallo del mondo e di poter andare alla conquista di chissà che. Il paese, se accogli la sua lingua, ti dice
che devi dismettere l’arroganza di chi pensa di essere il padrone della Terra. L’uomo che va in giro per i paesi, il paesologo,
in realtà è un cane, ha il punto di vista del cane. Il mio non è il lavoro di
uno scrittore che porta avanti il feticcio del suo stile o della sua poetica.
La mia è una scrittura sgretolata, ha la postura accasciata di chi è stato
colpito da un male fraternamente incurabile. L’osservazione del territorio è
fatta da un animale affratellato ai suoi pericoli, al suo sgomento. I luoghi in cui viaggio issano la bandiera
bianca. Non ci si arrende solo rispetto all’idea di inseguire il mito dello
sviluppo, ci si arrende all’idea di essere qualcosa o qualcuno. È sempre stato così, ma ora abbiamo la grazia
di un tempo in cui non ci sono promesse credibili né per questo mondo, né per
l’aldilà.
Adesso è il tempo di tornare a una
fisiologia meno velleitaria, a un quieto vagabondare nel mondo che gira,
nell’aria che non sta mai ferma.
Appartengo a questa vicenda non nella
forma ormai superata di un possessore di anima e di fini, ma nell’affanno di un
corpo senza padroni. Vorrei scrivere un inno silenzioso alla volontà di
dimenticarsi, di dimenticare i grandi feticci dell’umano: questo silenzio
conta, non il rumore che magari ancora fanno i miei residui vaneggiamenti
egotici. Non ho idee generali da
spacciare, non ho sentimenti eccezionali.
Racconto uno sfinimento che contiene cinismo e nobiltà, lietezza e
malumore. La paesologia è una via di mezzo tra l’etnologia e la poesia. Non è
una scienza umana, è una scienza arresa, utile a restare inermi, immaturi. Ma è anche un dolore che combatte,
aggirandosi senza fine nelle proprie rovine e in quelle degli altri, e
lasciando agli adulti i miraggi della vita riuscita.
(Franco
Arminio, Terracarne,
Viaggio
nei paesi invisibili e nei paesi giganti del Sud Italia)
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