"A vent'anni ero
partito per una migrazione, con zaino in spalla e quasi senza soldi, fermandomi
a lungo in Germania. Alcune figure e fantasie di quel viaggio sono tornate a me
moltissimi anni dopo, come un sogno a puntate durato un mese. Era agosto di un anno
con grandi subbugli; al mattino facevo a piedi tutto un giro delle colline,
tornavo a casa verso le cinque, e mi mettevo a battere a macchina molto stanco.
Volevo scrivere ogni sera nella stanchezza, lasciando correre la macchina da scrivere in modo che le avventure fiorissero da sole, improvvisando come si fa nel jazz.
L'eroe di queste avventure parla come noi parlavamo sotto le armi, cioé nel modo più ordinario possibile. L'ordinario fa parte di questo sogno venuto da lontano, assieme al ritmo sincopato che avevo sempre in mente da giovane, perché ero un fanatico del jazz. Negli anni mi sono accorto che il libro perdeva colpi, era anche sdilinquito e vanesio, dovevo assolutamente riscriverlo.
Non bisogna buttare via i sogni solo perché non si è riusciti a raccontarli bene; altrimenti si diventa dei frustrati che disprezzano tutto. Bisogna curarli finché trovano le loro parole adatte, la loro aureola".
Volevo scrivere ogni sera nella stanchezza, lasciando correre la macchina da scrivere in modo che le avventure fiorissero da sole, improvvisando come si fa nel jazz.
L'eroe di queste avventure parla come noi parlavamo sotto le armi, cioé nel modo più ordinario possibile. L'ordinario fa parte di questo sogno venuto da lontano, assieme al ritmo sincopato che avevo sempre in mente da giovane, perché ero un fanatico del jazz. Negli anni mi sono accorto che il libro perdeva colpi, era anche sdilinquito e vanesio, dovevo assolutamente riscriverlo.
Non bisogna buttare via i sogni solo perché non si è riusciti a raccontarli bene; altrimenti si diventa dei frustrati che disprezzano tutto. Bisogna curarli finché trovano le loro parole adatte, la loro aureola".
Gianni Celati, Lunario del
paradiso
Bellissimo libro e grande autore.
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