Abbiamo parlato subito del
suo stile, uno stile che si basa su una ossessione del ritmo quasi maniacale
(“Se il ritmo si spezza”, ha detto Bernhard, “tutto il resto è kaputt”), e su
una continua ripetizione dei concetti che produce l’effetto di un andamento a
spirale, piuttosto che quello di una consequenzialità lineare, come in genere
accade nel romanzo. Bernhard ha poi aggiunto che vi era uno stretto legame fra
il suo stile letterario e il suo stile di vita, e che il primo era l’autentico
prodotto del secondo, e che se non avesse deciso di vivere in quel modo, e cioè
di rifiutando praticamente qualunque tipo di legame, egli non sarebbe mai stato
lo scrittore che era diventato. Bernhard, a questo punto, ha usato una parola
che ricorre in molti dei suoi testi: Rucksichtslosigkeit. Questa parola
significa spregiudicatezza, intransigenza, mancanza di riguardi per
chicchessia, implacabilità. Ma significa anche volontà di definire il mondo
attraverso un’idea, e in questo senso rispecchia perfettamente il tipo di attualità
intellettuale che caratterizzava sia Bernhard che i suoi personaggi (…)
La conversazione con
Bernhard è proseguita poi con domande e risposte sempre meno impegnative. (…) Gli ho chiesto se teneva letture pubbliche. Ha
risposto che non ne faceva più da un pezzo, anzi l’ultima l’aveva fatta proprio
in Italia, a Bolzano, ma ad ascoltarlo c’erano andati solo due paralitici. Gli
ho chiesto se gli piaceva l’Italia. Ha risposto di sì, ma che non conosceva
molto la nostra cultura anche se aveva scritto un racconto intitolato
L’italiano. Gli ho detto che l’avevo letto, e che nello stesso libro vi era
anche Al limite boschivo, un racconto eccezionale. Lui ha sorriso, annuendo.
Gli ho detto che parlava sempre di suicidio. Lui ha risposto che pensare al
suicidio è la cosa più facile che possa accadere ad un essere umano.
Daniele Benati [questo pezzo apparve su «Dolce Vita», nn.
20-21, maggio-giugno 1989]
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