domenica 16 giugno 2013

L'universo come specchio



Il signor Palomar soffre molto della sua difficoltà di rapporti col prossimo. Invidia le persone che hanno il dono di trovare sempre la cosa giusta da dire, il modo giusto di rivolgersi a ciascuno; che sono a loro agio con chiunque si trovino e che mettono gli altri a loro agio; che muovendosi con leggerezza tra la gente capiscono subito quando devono difendersene e prendere le loro distanze e quando guadagnarsi la simpatia e la confidenza; che danno il meglio di sé nel rapporto con gli altri e invogliano gli altri a dare il loro meglio; che sanno subito quale conto fare d'una persona in rapporto a sé e in assoluto.
«Queste doti, - pensa Palomar col rimpianto di chi ne è privo, - sono concesse a chi vive in armonia col mondo. A costoro riesce naturale stabilire un accordo non solo con le persone ma pure con le cose, con i luoghi, le situazioni, le occasioni, con lo scorrere delle costellazioni nel firmamento, con l'aggregarsi degli atomi nelle molecole. Quella valanga d'avvenimenti simultanei che chiamiamo l'universo non travolge il fortunato che sa sgusciare per gli interstizi più sottili tra le infinite combinazioni, permutazioni e catene di conseguenze, evitando le traiettorie dei meteoriti micidiali e intercettando al volo solo i raggi benefici. A chi è amico dell'universo, l'universo è ami-co. Potessi mai, - sospira Palomar, - essere anch'io così! »
Decide di provare a imitarli. Tutti i suoi sforzi, d'ora in poi, saranno tesi a raggiungere un'armonia tanto col genere umano a lui prossimo quanto con la spirale più lontana del sistema delle galassie. Per cominciare, dato che col suo prossimo ha troppi problemi, Palomar cercherà di migliorare i suoi rapporti con l'universo. Allontana e riduce al minimo la frequentazione dei suoi simili; s'abitua a fare il vuoto nella sua mente, espellendone tutte le presenze indiscrete; osserva il cielo nelle notti stellate; legge libri d'astronomia; si familiarizza con l'idea degli spazi siderei finché questa non diventa una suppellettile permanente del suo arredamento mentale. Poi cerca di fare in modo che i suoi pensieri tengano presenti contemporaneamente le cose più vicine e le più lontane: quando accende la pipa l'attenzione per la fiamma dello zolfanello che alla prossima tirata dovrebbe lasciarsi aspirare fino in fondo al fornello dando inizio alla lenta trasformazione in brace dei fili di tabacco, non deve fargli dimenticare nemmeno per un attimo l'esplosione d'una supernova che si sta producendo nella Grande Nube di Magellano in questo stesso istante, cioè qualche milione d'anni fa. L'idea che tutto nell'universo si collega e si risponde non l'abbandona mai: una variazione di luminosità nella Nebulosa del Granchio o l'addensarsi d'un ammasso globulare in Andromeda non possono non avere una qualche influenza sul funzionamento del suo giradischi o sulla freschezza delle foglie di crescione nel suo piatto d'insalata.
Quando è convinto d'aver esattamente delimitato il proprio posto in mezzo alla muta distesa delle cose galleggianti nel vuoto, tra il pulviscolo d'eventi attuali o possibili che si libra nello spazio e nel tempo, Palomar decide che è venuto il momento di applicare questa saggezza cosmica al rapporto coi suoi simili. S'affretta a tornare in società, riallaccia conoscenze, amicizie, rapporti d'affari, sottopone a un attento esame di coscienza i suoi legami e i suoi affetti. S'aspetta di vedere estendersi davanti a sé un paesaggio umano finalmente netto, chiaro, senza nebbie, in cui egli potrà muoversi con gesti precisi e sicuri. È così? Nient'affatto. Comincia a impelagarsi in un garbuglio di malintesi, vacillazioni, compromessi, atti mancati; le questioni più futili diventano
angoscianti, le più gravi s'appiattiscono; ogni cosa che lui dice o fa risulta maldestra, stonata, irresoluta. Cos'è che non funziona?
Questo: contemplando gli astri lui s'è abituato a considerarsi un punto anonimo e incorporeo, quasi a dimenticarsi d'esistere; per trattare adesso con gli esseri umani non può fare a meno di mettere in gioco se stesso, e il suo se stesso lui non sa più dove si trova. Di fronte a ogni persona uno dovrebbe sapere come situarsi in rapporto a essa, esser sicuro della reazione che ispira in lui la presenza dell'altro - avversione o attrazione, ascendente subito o imposto, curiosità o diffidenza o indifferenza, dominio o sudditanza, discepolanza o magistero, spettacolo come attore o come spettatore, - e in base a queste e alle controreazioni dell'altro stabilire le regole del gioco da applicare nella loro partita, le mosse e le contromosse da giocare. Per tutto questo uno prima ancora di mettersi a osservare gli altri dovrebbe sapere bene chi è lui. La conoscenza del prossimo ha questo di speciale: passa necessariamente attraverso la conoscenza di se stesso; ed è proprio questa che manca a Palomar. Non solo conoscenza ci vuole, ma comprensione, accordo con i propri mezzi e fini e pulsioni, il che vuol dire possibilità d'esercitare una padronanza sulle proprie inclinazioni e azioni, che le controlli e diriga ma non le coarti e non le soffochi. Le persone di cui egli ammira la giustezza e naturalezza d'ogni parola e d'ogni gesto sono, prima ancora che in pace con l'universo, in pace con se stesse. Palomar, non amandosi, ha sempre fatto in modo di non incontrarsi con se stesso faccia a faccia; è per questo che ha preferito rifugiarsi tra le galassie; ora capisce che è col trovare una pace interiore che doveva cominciare. L'universo forse può andar tranquillo per i fatti suoi; lui certamente no.
La strada che gli resta aperta è questa: si dedicherà d'ora in poi alla conoscenza di se stesso, esplorerà la propria geografia interiore, traccerà il diagramma dei moti del suo animo, ne ricaverà le formule e i teoremi, punterà il suo telescopio sulle orbite tracciate dal corso della sua vita anziché su quelle delle costellazioni. «Non possiamo conoscere nulla d'esterno a noi scavalcando noi stessi, -egli pensa ora, - l'universo è lo specchio in cui possiamo contemplare solo ciò che abbiamo imparato a conoscere in noi».
Ed ecco che anche questa nuova fase del suo itinerario alla ricerca della saggezza si compie. Finalmente egli potrà spaziare con lo sguardo dentro di sé. Cosa vedrà? Gli apparirà il suo mondo interiore come un calmo immenso ruotare d'una spirale luminosa? Vedrà navigare in silenzio stelle e pianeti sulle parabole e le ellissi che determinano il carattere e il destino? Contemplerà una sfera di circonferenza infinita che ha l'io per centro e il centro in ogni punto?
Apre gli occhi: quel che appare al suo sguardo gli sembra d'averlo già visto tutti i giorni: vie piene di gente che ha fretta e si fa largo a gomitate, senza guardarsi in faccia, tra alte mura spigolose e scrostate. In fondo, il cielo stellato sprizza bagliori intermittenti come un meccanismo inceppato, che sussulta e cigola in tutte le sue giunture non oliate, avamposti d'un universo pericolante, contorto, senza requie come lui.

Italo Calvino, Palomar


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