sabato 22 giugno 2013

Religioni



Di fronte ai grandi problemi mi ritengo un uomo del dubbio e del dialogo. Del dubbio, perché ogni mio ragionamento su una delle grandi domande termina quasi sempre o esponendo la gamma delle possibili risposte o ponendo ancora un’altra grande domanda. Del dialogo, perché non presumo di sapere quello che non so, e quello che so metto alla prova continuamente con coloro che presumo ne sappiano più di me […]
Ho sempre avuto un grande rispetto per i credenti, ma non sono un uomo di fede. La fede, quando non è un dono, è un’abitudine; quando non è né un dono né un’abitudine, deriva da una forte volontà di credere. Ma la volontà comincia dove la ragione finisce: io mi sono sinora arrestato prima. Mi è anche completamente estranea la fede nella ragione. Non ho mai avuto la tentazione di sostituire la Dea Ragione al Dio dei credenti. Per me, la nostra ragione non è un lume: è un lumicino. Ma non abbiamo altro per procedere nelle tenebre da cui siamo venuti alle tenebre verso le quali andiamo. Com’è nato l’universo? Come finirà? Che parte ha in esso l’uomo, questo essere che, a differenza di tutti gli altri esseri viventi che conosciamo, non solo è nel mondo ma s’interroga sul suo posto nel mondo, o, per usare il termine classico di tutta la nostra tradizione, sul suo destino che è per essenza “cieco”? Che è immerso nel male dell’universo, o almeno in quello che secondo il suo giudizio è male, e si pone la domanda, da quando ha cominciato a riflettere sulle cause e sui fini: “Perché il male?”, una domanda cui non è mai riuscito a dare una risposta convincente? Non ho alcuna difficoltà ad ammettere che non vi è riuscita la scienza, e qui intendo per “scienza” il complesso delle conoscenze acquisite con l’uso della nostra intelligenza. Ma vi sono riuscite le religioni? Parlo di risposte convincenti, di cui questa stessa intelligenza si possa appagare, non di risposte consolatorie e quindi illusorie, che appagano l’animo di coloro che vogliono, disperatamente vogliono, per l’enormità e l’insopportabilità del male di cui soffrono, essere consolati. Al contrario del lumicino della ragione, la fede illumina, ma spesso, per troppo illuminare, acceca. Donde nascono, se non da questo accecamento, gli aspetti perversi della religione? L’intolleranza, la coazione a credere, la persecuzione dei non credenti, lo spirito di crociata? Non riprenderei questo vecchio argomento, tacendo il quale peraltro non si comprende la battaglia dei “lumi” così caratteristica del pensiero moderno, se non fosse che questo stesso argomento viene continuamente usato con la stessa partigianeria per imputare al processo di secolarizzazione tutte le perversioni del nostro secolo, come se l’età più cruenta prima delle due guerre mondiali non fosse stata quella delle guerre di religione.

(Bobbio, Elogio della mitezza e altri scritti morali, Linea d’ombra, Milano 1994)





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