18 giugno – Santa Marina di Bitinia
Santa Marina vergine visse in Bitinia o da
qualche altra parte, tra il terzo e l’ottavo secolo, una vita pia e abbastanza
noiosa come capita alle monache, con un’importante eccezione: Marina la visse
in un monastero maschile, col nome di “Marino”. Nessuno si accorse del
travestimento, al punto che fu accusata di aver messo incinta una cameriera.
Come eccezione non è nemmeno così eccezionale: di sante travestite, soprattutto
in area bizantina, ne fiorirono diverse. Santa Eufrosina, Santa Matrona,
Sant’Anna, Santa Eugenia, Sant’Anastasia, Santa Teodora, e
chissà quante altre, l’invidia del saio era insomma una patologia diffusa e non
c’era probabilmente monastero senza la sua mascotte. Un sistema per scansare i
sospetti era dichiarare di essere eunuco; questo poteva spiegare la voce acuta
e la difficoltà a far crescere una barba monacale. Sempre che ce ne fosse il
bisogno.
A caratterizzare Marina rispetto alle
sorelle travestite è il movente (orfana di madre, Marina si fa monaco per
restare vicina al padre, che aveva deciso di entrare in monastero), e lo
sviluppo un po’ boccaccesco, che fece il giro del mediterraneo e ci è arrivato
in dozzine di versioni diverse. In sostanza, il giovane Marino/Marina, già
stimato da tutti i confratelli per la rettitudine e le virtù eccetera, viene
inviato da qualche parte insieme con una delegazione di monaci. Nella locanda
dove pernottano, un soldato giunto nottetempo stupra la figlia dell’oste.
Quando i genitori se ne accorgono è troppo tardi, il soldato è già tornato alla
tenebra donde è venuto, e la fanciulla è disonorata per sempre. L’unica è
incolpare qualcun altro; in questo sono straordinariamente fortunati, perché
Marino, l’irreprensibile Marino, denunciato davanti al suo superiore, non osa
difendersi. Anzi, a un certo punto confessa la sua impossibile colpa. In questo
possiamo ravvedere il masochismo tipico del folle di Dio, che decide di caricarsi
delle colpe degli altri, ma anche un atteggiamento più prosaico: Marino aveva
ben altro da temere che un’accusa di violenza sessuale, robetta. Al
risarcimento ci avrebbe pensato il monastero. Quello che rischiava veramente,
Marino/a, era il rogo per travestitismo: indossare indumenti non confacenti al
proprio sesso era peccato mortale, e mille anni dopo sarebbe stato ancora il
cardine di tutto il processo-farsa a Giovanna d’Arco. Marina insomma è una
peccatrice, che diventa santa proprio in quanto peccatrice: una contraddizione
che si spiega soltanto se immaginiamo la sua storia all’incrocio tra due
civiltà diverse.
Il Vangelo di Tommaso terminava
promettendo il Regno dei Cieli a “ogni donna che si farà uomo” – ma fu escluso
abbastanza presto dai testi canonici. Quando la storia di Marina comincia a
diffondersi nel mediterraneo, il cristianesimo è già una cultura egemone che
aspira prima d’ogni cosa all’ordine: donne e uomini se ne stiano al loro posto.
Ma il nocciolo della storia contiene ancora l’anima del cristianesimo degli
inizi, una setta di folli che in attesa di una fine imminente avevano abolito
la proprietà e le differenze di ceto e di genere. “Quando farete… l’interno
come l’esterno e l’esterno come l’interno, e il sopra come il sotto, e quando
farete di uomo e donna una cosa sola, così che l’uomo non sia uomo e la donna
non sia donna…” solo allora entrerete nel Regno, diceva ancora l’apocrifo
Tommaso. Marina nel frattempo deve abbandonare il monastero, ma pazienza: basta
trasferirsi lì nei pressi, vivere rettamente e aver pazienza, prima o poi lo
avrebbero riaccolto – figurati se lo bandiscono a vita per uno stupro, uno
stupro solo? figurati.
Nove mesi dopo, la sorpresa.
Marino/a si trova un fagotto davanti alla
porta di casa. Non le resta che improvvisarsi padre. Con che latte? Qui le
versioni divergono: chi s’immagina una miracolosa montata lattea nella
vergine-monaco, chi suggerisce che il latte glielo portassero i pastori.
Preferisco quest’ultima: mi lascia il sospetto che una storia del genere possa
essere capitata davvero. Marina cresce il figlio non suo come un padre,
avviandolo ovviamente alla carriera monacale; e ovviamente se lo porta con sé
quando i confratelli decidono di riammetterlo, a tre anni dal fattaccio.
Continuerà a mostrarsi un esempio di rettitudine e virtù per il resto della sua
esistenza; il suo segreto sarà scoperto soltanto quando i monaci ne
spoglieranno il cadavere per pulirlo. (…)
San Marina è patrona delle gravidanze
difficili, dei genitori non standard, e si invoca per far sgorgare l’acqua o il
latte. Il nome l’ha resa molto popolare tra i marinai, i monaci del mare, anche
loro spesso inclini a favoleggiare di fanciulle travestite, compresse in abiti
da mozzo. Dopo il crollo dell’Impero Bizantino, Venezia ne volle a tutti i
costi le spoglie e le trovò, ma non fu sempre un’ospite all’altezza.
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