Ci sono fiumi metafisici,
lei vi nuota come quella rondine sta nuotando nell’aria, girando allucinata
attorno al campanile, lasciandosi cadere per poi alzarsi più alta di slancio.
Io descrivo e definisco e desidero quei fiumi, lei vi nuota. Io li cerco, li
trovo, li guardo dal ponte, lei vi nuota. E non lo sa, proprio come la rondine.
Non ha bisogno di sapere come me, può vivere nel disordine senza che alcuna
coscienza di ordine la trattenga. Quel disordine è il suo ordine misterioso,
quella bohème del corpo e dell’anima che le spalanca le vere porte. La sua vita
non è disordine come per me, sotterrato in pregiudizi che disprezzo e allo
stesso tempo rispetto. Io, condannato ad essere assolto irrimediabilmente dalla
Maga che mi giudica senza saperlo. Ah, lasciami entrare, lasciami vedere un
giorno come vedono i tuoi occhi.
È un bel po’ che non vado a letto con le parole. Continuo a servirmene, come fai tu e come tutti, ma le spazzolo moltissimo prima di mettermele. Fra me e la Maga si alza un canneto di parole, ci separano appena alcune ore e alcuni isolati e già la mia pena si chiama pena, il mio amore si chiama il mio amore… A poco a poco soffrirò sempre di meno e ricorderò sempre di più, ma che cosa è il ricordo se non la lingua dei sentimenti, un dizionario di facce e giorni e profumi che tornano come i verbi e gli aggettivi nella frase, che mascherati vengono prima della cosa in sé, del puro presente, rattristandoci o addestrandoci vicariamente finché l’essere nostro medesimo diventa vicario, la faccia che guarda all’indietro apre grandi gli occhi, la vera faccia si cancella a poco a poco come nelle vecchie fotografie e Giano è di colpo chiunque di noi.
Julio Cortázar, Il gioco del mondo (Rayuela)
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