martedì 31 ottobre 2017
lunedì 30 ottobre 2017
Finchè
Finché
quella donna del Rijksmuseum
nel silenzio dipinto e in raccoglimento
giorno dopo giorno versa
il latte dalla brocca nella scodella,
il Mondo non merita
la fine del mondo.
Wisława Szymborska
nel silenzio dipinto e in raccoglimento
giorno dopo giorno versa
il latte dalla brocca nella scodella,
il Mondo non merita
la fine del mondo.
Wisława Szymborska
domenica 29 ottobre 2017
Strisce
Civiltà e tempo
Com’è
possibile che nel corso del tempo il mondo sia diventato sempre più
civile, mentre oggi sembra che stia diventando sempre più incivile?
Per caso sono stato così sfortunato da capitare in un raro momento
di imbarbarimento globale? Oppure è solo che sto diventando vecchio
e, come tutti i vecchi, chiamo imbarbarimento quello che invece è
solo un tipo di progresso che non sono in grado di capire? Che ne so,
magari questi nuovi beniamini del popolo sono un grande passo avanti
e
io non riesco a rendermene conto solo perché sono affezionato a un
mondo che sta scomparendo, e così, per mia grande sfortuna, il tizio
nella foto qui sopra mi sembra solo un povero babbuino ritardato. È
possibile, ma è anche possibile che ci sia un’altra spiegazione.
La
“civiltà” è la capacità dei singoli componenti di una società
di dare importanza alle esigenze degli altri, e non perché questo
sia giusto o, ancora peggio, Giusto, ma perché è conveniente. È
molto più conveniente vivere in una società dove ognuno dà
importanza anche alle esigenze altrui, piuttosto che solo ed
esclusivamente alle proprie, e in particolare è conveniente quando
non si conta assolutamente niente come me e, presumibilmente, te. In
una società civile, il piccolo sacrificio che devo fare quando mi
trattengo dal lanciare un gavettone di, diciamo, acqua a chi suona i
bonghi in strada, mi viene ampiamente ripagato quando gli amanti
degli animali si trattengono dal privarmi della mia bellissima giacca
di pelle di agnello (grazie). Ne approfitto per dire che la mia
giacca è per me il simbolo della mia individualità e della mia fede
nella libertà personale.
Un
buon indicatore della civiltà di un posto è la percentuale di
macchine che si fermano quando uno attraversa sulle strisce. Certo la
civiltà si esprime anche in cose molto più serie, come il livello
dei servizi sociali, l’efficienza dei trasporti o la qualità del
vino prodotto secondo il metodo champenoise, ma le strisce pedonali
sono più facili da verificare. Ecco per esempio una classifica
basata sulla mia personale osservazione:
Zurigo
100%
Bilbao
96%
Bruxelles
91%
Londra
90%
Cracovia
85%
Madrid
82%
Parigi
64%
Bologna
50%
Roma
-75%
Il
numero negativo di Roma significa che, non solo non si fermano, ma
accelerano per metterti sotto.
Questa
è la mia definizione di civiltà (per non farmi influenzare, non ho
controllato il dizionario). Il cosiddetto “progresso” è
ovviamente l’aumentare della civiltà, mentre l’”imbarbarimento”
è la diminuzione della civiltà.
Ora,
mi sembra evidente che ci sia stato un notevole progresso rispetto
all’antico Egitto, quando le strisce pedonali nemmeno esistevano, e
nel complesso mi pare che tutta la storia dell’umanità vada verso
una sempre maggior percentuale di gente che si trattiene dal mettere
sotto i suoi simili, tranne che in questi ultimi anni. In questi
ultimi anni la gente si è messa ad applaudire entusiasticamente
individui che, esplicitamente e senza giri di parole, mirano a
mettere sotto tutto ciò che può essere messo sotto, compresi coloro
che li applaudono. Quindi, tornando alla domanda iniziale, come si
spiega questo improvviso passaggio dal progresso all’imbarbarimento,
proprio ora, proprio quando stavo iniziando a godermela?
In
realtà non c’è stato nessun passaggio, il mondo sta sempre
progredendo e contemporaneamente si sta sempre imbarbarendo, e ciò è
possibile perché progresso e imbarbarimento avvengono su scale
temporali diverse. L’errore è pensare che il progresso avvenga
seguendo questo andamento
Invece
segue questo
Come
si vede dalla figura, sul lungo periodo la civiltà aumenta, ma lo fa
attraversando periodi in cui diminuisce, prima piano piano, poi
sempre più velocemente, fino a precipitare in una catastrofe. La
catastrofe è rapidissima rispetto ai tempi della Storia, segna un
minimo relativo nell’andamento della civiltà e non è derivabile,
ma dopo di essa, per quanto grave possa essere stata, la civiltà si
risolleva di colpo e raggiunge un livello più alto di quello che
aveva alla fine della catastrofe precedente, e così, catastrofe dopo
catastrofe, l’umanità progredisce.
La
nostra ultima grande catastrofe è stata ovviamente Mr. Baffetti:
circa 60 milioni di morti in tutto il mondo per colpa di un tizio
fissato coi prepuzi, ma dopo di lui il mondo si è ripreso, la gente
è diventata improvvisamente più civile e meglio disposta verso il
mondo, come uno che si è appena svegliato da un incubo. Poi, però,
la civiltà ha cominciato di nuovo a diminuire, prima lentamente, poi
sempre più in fretta man mano che il ricordo della catastrofe
diventava sempre più sbiadito. Tanto per fare un esempio,
l’assemblea costituente italiana, confrontata col parlamento di
oggi, sembra un dream team. Sì, è vero, in quell’assemblea c’era
anche Andreotti, ma Andreotti, in confronto a Salvini, è un dream
team.
Ora non saprei dire a che punto siamo della discesa e quanto sia lontana la prossima catastrofe, ma, una volta passata anche questa, possiamo stare certi che l’umanità ripartirà da un livello di civiltà più alto. Sempre che sopravviva.
Ora non saprei dire a che punto siamo della discesa e quanto sia lontana la prossima catastrofe, ma, una volta passata anche questa, possiamo stare certi che l’umanità ripartirà da un livello di civiltà più alto. Sempre che sopravviva.
Pubblicato
da Smeriglia | 25.10.17
sabato 28 ottobre 2017
venerdì 27 ottobre 2017
Promemoria
Mettersi
tra due parole, separarle
con
il corpo: allargare le braccia
e
intanto urlare. Rompere il senso
della
frase. Non spaventarsi se fa
male.
Dopo tornare carta straccia.
Andrea Bajani, Promemoria
giovedì 26 ottobre 2017
Le strade
Le
strade sono
tutte di Mazzini, di Garibaldi,
son dei papi,
di quelli che scrivono,
che dan dei comandi, che fan la guerra.
E mai che ti capiti di vedere
via di uno che faceva i berretti
via di uno che stava sotto un ciliegio
via di uno che non ha fatto niente
perché andava a spasso
sopra una cavalla.
E pensare che il mondo
è fatto di gente come me
che mangia il radicchio
alla finestra
contenta di stare, d’estate,
a piedi nudi.
tutte di Mazzini, di Garibaldi,
son dei papi,
di quelli che scrivono,
che dan dei comandi, che fan la guerra.
E mai che ti capiti di vedere
via di uno che faceva i berretti
via di uno che stava sotto un ciliegio
via di uno che non ha fatto niente
perché andava a spasso
sopra una cavalla.
E pensare che il mondo
è fatto di gente come me
che mangia il radicchio
alla finestra
contenta di stare, d’estate,
a piedi nudi.
Nino
Pedretti, Al vòusi
martedì 24 ottobre 2017
Exodus / 2
Stato
del Rakhine, Birmania occidentale, al confine con il Bangladesh.
Vivono qui i musulmani
del Myanmar, in un Paese a maggioranza buddista.
Le origini dei Rohingya, circa 800mila persone, si perdono nella storia. Alcune teorie sostengono che questa etnia risieda nel Paese da secoli, altre che i Rohingya siano giunti in Myanmar con la campagna migratoria dell’ultimo secolo. Di certo la loro presenza è attestata nel 1785, anno dell’invasione birmana che uccise migliaia di indigeni, tra cui molti Rohingya.
I Rohingya oggi vivono nella condizione di “popolo senza stato”. La legge sulla cittadinanza del 1982, infatti, non li include tra i più di 130 gruppi etnici ufficialmente riconosciuti nel Paese, rendendoli di fatto immigrati illegali. In mancanza dello status di cittadini, i Rohingya sono vulnerabili e soggetti a discriminazioni. Lo stesso Bangladesh, in cui alcuni di loro si sono rifugiati per sfuggire alle violenze, non riconosce loro la cittadinanza, e anzi ormai non è più in grado di accoglierli.
Essere un Rohingya in Birmania non è semplice. Bisogna ottenere un permesso speciale per sposarsi e viaggiare, per cercare lavoro o commerciare, recarsi dal medico o partecipare a un funerale - e in alcune zone le famiglie non possono avere più di due figli. Molti Rohingya sono costretti al lavoro forzato, affrontano arresti arbitrari, confische di beni, tassazione discriminante, violenza fisica e psicologica. Agli studenti Rohingya, inoltre, non è garantito il diritto all’istruzione.
Le origini dei Rohingya, circa 800mila persone, si perdono nella storia. Alcune teorie sostengono che questa etnia risieda nel Paese da secoli, altre che i Rohingya siano giunti in Myanmar con la campagna migratoria dell’ultimo secolo. Di certo la loro presenza è attestata nel 1785, anno dell’invasione birmana che uccise migliaia di indigeni, tra cui molti Rohingya.
I Rohingya oggi vivono nella condizione di “popolo senza stato”. La legge sulla cittadinanza del 1982, infatti, non li include tra i più di 130 gruppi etnici ufficialmente riconosciuti nel Paese, rendendoli di fatto immigrati illegali. In mancanza dello status di cittadini, i Rohingya sono vulnerabili e soggetti a discriminazioni. Lo stesso Bangladesh, in cui alcuni di loro si sono rifugiati per sfuggire alle violenze, non riconosce loro la cittadinanza, e anzi ormai non è più in grado di accoglierli.
Essere un Rohingya in Birmania non è semplice. Bisogna ottenere un permesso speciale per sposarsi e viaggiare, per cercare lavoro o commerciare, recarsi dal medico o partecipare a un funerale - e in alcune zone le famiglie non possono avere più di due figli. Molti Rohingya sono costretti al lavoro forzato, affrontano arresti arbitrari, confische di beni, tassazione discriminante, violenza fisica e psicologica. Agli studenti Rohingya, inoltre, non è garantito il diritto all’istruzione.
La
violenza anti Rohingya fa parte di un più generale scontro tra
buddisti e musulmani, che si verifica quotidianamente nelle città
del Paese, spesso ad opera delle stesse forze di polizia
chiamate a fermare le violenze.
foto b/n di
Kevin Frayer per Getty Images
lunedì 23 ottobre 2017
domenica 22 ottobre 2017
Cumuli
Con
la consapevolezza crescente che stiamo su un cumulo di morti, uomini
e animali, che la coscienza del nostro Io trae nutrimento dal numero
di coloro cui siamo sopravvissuti, con questa consapevolezza che
rapidamente guadagna terreno diviene ancora più difficile giungere a
una soluzione di cui non ci si vergogni.
È
impossibile distogliersi dalla vita, di cui sentiamo continuamente il
valore e le aspettative. Ma è anche impossibile non vivere della
morte di altre creature, il cui valore e le cui aspettative non sono
minori delle nostre.
La fortuna di riferirsi a un regno lontano, di cui si alimentano tutte le religioni tradizionali, non può più essere la nostra fortuna.
L’aldilà è in noi: gravoso riconoscerlo, ma è prigioniero in noi. Questa la grande e insanabile lacerazione dell’uomo moderno. Perché in noi è anche la fossa comune della creature.
La fortuna di riferirsi a un regno lontano, di cui si alimentano tutte le religioni tradizionali, non può più essere la nostra fortuna.
L’aldilà è in noi: gravoso riconoscerlo, ma è prigioniero in noi. Questa la grande e insanabile lacerazione dell’uomo moderno. Perché in noi è anche la fossa comune della creature.
Elias Canetti, Il libro contro la morte
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