I
processi evolutivi delle foreste primordiali sono caratterizzati da
una
lentezza inconcepibile.
Il concetto moderno di «slow life», di ritorno a ritmi più lenti,
sembra coniato su misura per questi ecosistemi.
Già
dalla nascita, le minuscole piantine vengono frenate nella crescita
dai loro genitori. La luminosità residua che penetra fino al suolo
attraverso le imponenti chiome ammonta solo al 3 per cento della luce
del giorno: troppo poco per vivere, troppo per morire. Per evitare il
peggio alle pianticelle, la pianta madre riveste le proprie radici di
morbide fasce contenenti una soluzione zuccherina. Inibiti nel loro
sviluppo da un lato, supportati dall'altro, i giovani virgulti
vivacchiano per molti decenni senza costrutto. Dal punto di vista
biologico, questa dinamica ha però un senso: il legno del piccolo
fusto che si stratifica pian piano è estremamente compatto,
resistente ai funghi e flessibile. Eventuali lesioni non portano a
una putrefazione letale e, in caso di bufera, l'albero si piega ma
non si spezza.
La
mancanza di luce non è un caso, naturalmente, perché costringe i
polloni (germogli nati alla base dell'albero) a crescere diritti:
solo così all'interno del tronco la stratificazione delle fibre
avviene in modo omogeneo, senza irregolarità o gibbosità, che
costituirebbero potenziali punti di rottura.
Insomma,
un portamento eretto fin dalla tenera età, appreso in giardini
d'infanzia in piena regola. Le pianticelle imparano a contendersi
ogni raggio di sole: se uno degli allievi tende a scantinare,
piegando di lato la cacciata apicale, ossia il suo germoglio
principale, gli altri lo raggiungono pian piano fino a sormontarlo,
togliendogli la luce. Il «gobbette» muore di fame all'ombra degli
allievi modello e torna a essere humus.
In
un giorno lontano, quando la pianta madre esalerà l'ultimo respiro e
i suoi rami ormai secchi lasceranno arrivare tutta la luce fino al
suolo senza intralci, l'esemplare più alto del gruppo s'innalzerà
trasformandosi in un albero maestoso.
Tuttavia,
la morte di un gigante è un evento raro. Per la maggior parte del
tempo, nella foresta vergine non succede niente. Nella penombra,
tranne i figli della pianta madre, non sopravvive quasi nient'altro.
Le foreste primarie assomigliano a grandi saloni fra le cui colonne
si può passeggiare senza trovare ostacoli - in questo caso, senza
usare il machete. Invece le foreste attuali dell'Europa centrale o
dell'Amazzonia, in cui viticci e arbusti sbarrano la via, sono
perlopiù foreste secondarie, regioni dove l'uomo ha già praticato
il taglio degli alberi. Il motivo dell'alta densità di piante è la
mancanza dell'azione schermante delle fitte chiome di alberi vecchi a
rallentare la crescita; così, nel sottobosco, può proliferare
qualsiasi tipo di vegetazione che altrimenti soffocherebbe al buio.
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