martedì 24 ottobre 2017

Exodus / 2





Stato del Rakhine, Birmania occidentale, al confine con il Bangladesh. Vivono qui i musulmani del Myanmar, in un Paese a maggioranza buddista
Le origini dei Rohingya, circa 800mila persone, si perdono nella storia. Alcune teorie sostengono che questa etnia risieda nel Paese da secoli, altre che i Rohingya siano giunti in Myanmar con la campagna migratoria dell’ultimo secolo. Di certo la loro presenza è attestata nel 1785, anno dell’invasione birmana che uccise migliaia di indigeni, tra cui molti Rohingya.
I Rohingya oggi vivono nella condizione di “popolo senza stato”. La legge sulla cittadinanza del 1982, infatti, non li include tra i più di 130 gruppi etnici ufficialmente riconosciuti nel Paese, rendendoli di fatto immigrati illegali. In mancanza dello status di cittadini, i Rohingya sono vulnerabili e soggetti a discriminazioni. Lo stesso Bangladesh, in cui alcuni di loro si sono rifugiati per sfuggire alle violenze, non riconosce loro la cittadinanza, e anzi ormai non è più in grado di accoglierli.
Essere un Rohingya in Birmania non è semplice. Bisogna ottenere un permesso speciale per sposarsi e viaggiare, per cercare lavoro o commerciare, recarsi dal medico o partecipare a un funerale - e in alcune zone le famiglie non possono avere più di due figli. Molti Rohingya sono costretti al lavoro forzato, affrontano arresti arbitrari, confische di beni, tassazione discriminante, violenza fisica e psicologica. Agli studenti Rohingya, inoltre, non è garantito il diritto all’istruzione.
La violenza anti Rohingya fa parte di un più generale scontro tra buddisti e musulmani, che si verifica quotidianamente nelle città del Paese, spesso ad opera delle stesse forze di polizia  chiamate a fermare le violenze. 

 foto b/n di Kevin Frayer per Getty Images






 






 

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