mercoledì 18 ottobre 2017

Voglio dirvi





Federico Tavan
Andreis, 5 novembre 1949 – Andreis, 7 novembre 2013 


Su di lui c'erano aspettative in famiglia, e che aspettative, dopo che Giacomina, da tutti reputata la "strega", entrando all'improvviso nella chiesa di Andreis urla ripetutamente a Cosetta, madre di Federico incinta di lui di quattro mesi,  «vedrai vedrai cosa nascerà... un mostro». Insomma, Federico ancor prima di nascere si era già beccato un vero e proprio malocchio. Cosetta sviene e viene portata a braccia a casa. Federico scalcia. Si ribalta e si rivolta nel ventre della madre. Ma poi nasce ugualmente. Altrimenti «io sarei un aborto di poeta». Ecco il fato che si materializza, che guida gli eventi secondo un ordine non modificabile. E Federico non può deludere tutte quelle aspettative: «Niente di clamoroso se nella pancia non ci fossi stato io. Non potevo deludere... Ecce Mostrum».
Poi l'infanzia (l'amata madre lo lascia troppo presto a 11 anni) accompagnata da ossessioni e solitudini. A 14 anni, prime esperienze all'ospedale psichiatrico. Federico intuisce e capisce che non c'è nulla da fare. La sua strada è già segnata.
Federico cresce segnato da difficoltà psichiche, superstizioni, deliri e paure. I suoi demoni lo invadono risucchiandolo in un'insignificanza infinita. È a pelle nuda, senza autodifese di fronte al mondo. Convivere con gli obblighi imposti dalla società è sempre più improbabile. Già a scuola viene castigato troppo spesso perché «ero lo zimbello, il complessato, il diverso... e continuavo a grattarmi». Poi in collegio al Don Bosco di Pordenone - «il collegio di quel Santo di Don Bosco, roba da ricchi nel '62... e i preti 37 aguzzini... Un esercito. Scodinzolante in nero» - luogo che per Federico si trasforma in un vero e proprio lager. Il padre si vergognava di quel figlio, e fa carte false per obbligarlo al servizio di leva. Viene esonerato dopo alcuni mesi perché bacia o viene baciato in bocca, ancora non sono stati chiariti i fatti, il suo capitano.
Inizia a lavorare ma solo a momenti, tra ricoveri e vita normale. A Milano, in un magazzino di tessuti all'ingrosso, spedisce le cose dalla parte sbagliata del mondo. Alla catena di montaggio della Rex sembra un sabotatore agguerrito. Ma era solo distratto. Lo allontanano. Ogni suo tentativo di socializzare - a modo suo - viene vanificato, brutalmente castrato.
Ego-eccentrico fino all'osso, per salvarsi da un suicidio a portata di mano gli resta solo la possibilità d'amore «me stesso da amare» e una poesia d'amore che prende a pugni il nulla parlando «de monades/e de me». Riuscendo così a esprimere attraverso una poesia tempestosa una condizione di profonda perturbazione congiunta ad un'estrema necessità di felicità semplici: «Se fos normal / e sunarés / duté li cjampanes...E po' via / pa' chî prâtz / a deventâ / flours / âs / e / la meil». (Se fossi normale / suonerei tutte le campane. E poi via per i prati a diventare fiori, api e miele).

(Il Piccolo)


Voglio dirvi (Ai bambini più piccoli)
 
Scusatemi tanto / ma voglio dirvi / che la bambola Barbie / che si lava da sola / non mi piace./ E comunque / non ve la compero./ Voglio dirvi / che piccoli si è / una volta sola / e dura poco: bisogna approfittarne / per correre / giocare / credere nelle fate / e nelle streghe./ E quando vedete / un pazzo / un ubriacone / che fa cose strane / che vostro padre / nemmeno le sogna / lasciatelo perdere:/ voi non potete capirlo / non dategli / né pedate / né caramelle./ Anche un povero disgraziato / si commuove / guardando la luna e le stelle./ Voglio dirvi / che qualche volta / anche disubbidire / non è peccato / e che non sarete / migliori di adesso / quando sarete / medici / ingegneri / o avvocati. Voglio dirvi…


 



 

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