Federico
Tavan
Andreis,
5 novembre 1949 – Andreis, 7 novembre 2013
Su
di lui c'erano aspettative in famiglia, e che aspettative, dopo che
Giacomina, da tutti reputata la "strega", entrando all'improvviso nella chiesa di Andreis urla
ripetutamente a Cosetta, madre di Federico incinta di lui di quattro
mesi, «vedrai vedrai cosa nascerà...
un mostro». Insomma, Federico ancor prima di nascere si era già
beccato un vero e proprio malocchio. Cosetta sviene e viene portata a
braccia a casa. Federico scalcia. Si ribalta e si rivolta nel ventre
della madre. Ma poi nasce ugualmente. Altrimenti «io sarei un aborto
di poeta». Ecco il fato che si materializza, che guida gli eventi
secondo un ordine non modificabile. E Federico non può deludere
tutte quelle aspettative: «Niente di clamoroso se nella pancia non
ci fossi stato io. Non potevo deludere... Ecce Mostrum».
Poi
l'infanzia (l'amata madre lo lascia troppo presto a 11 anni)
accompagnata da ossessioni e solitudini. A 14 anni, prime esperienze
all'ospedale psichiatrico. Federico intuisce e capisce
che non c'è nulla da fare. La sua strada è già segnata.
Federico
cresce segnato da difficoltà psichiche, superstizioni, deliri e
paure. I suoi demoni lo invadono risucchiandolo in un'insignificanza
infinita. È a pelle nuda, senza autodifese di fronte al mondo.
Convivere con gli obblighi imposti dalla società è sempre più
improbabile. Già a scuola viene castigato troppo spesso perché «ero
lo zimbello, il complessato, il diverso... e continuavo a grattarmi».
Poi in collegio al Don Bosco di Pordenone - «il collegio di quel
Santo di Don Bosco, roba da ricchi nel '62... e i preti 37
aguzzini... Un esercito. Scodinzolante in nero» - luogo che per
Federico si trasforma in un vero e proprio lager. Il padre si
vergognava di quel figlio, e fa carte false per obbligarlo al
servizio di leva. Viene esonerato dopo alcuni mesi perché bacia o
viene baciato in bocca, ancora non sono stati chiariti i fatti, il
suo capitano.
Inizia
a lavorare ma solo a momenti, tra ricoveri e vita normale. A Milano,
in un magazzino di tessuti all'ingrosso, spedisce le cose dalla parte
sbagliata del mondo. Alla catena di montaggio della Rex sembra un
sabotatore agguerrito. Ma era solo distratto. Lo allontanano. Ogni
suo tentativo di socializzare - a modo suo - viene vanificato,
brutalmente castrato.
Ego-eccentrico
fino all'osso, per salvarsi da un suicidio a portata
di mano gli resta solo la possibilità d'amore «me stesso da amare»
e una poesia d'amore che prende a pugni il nulla parlando «de
monades/e de me». Riuscendo così a esprimere attraverso una poesia
tempestosa una condizione di profonda perturbazione congiunta ad
un'estrema necessità di felicità semplici: «Se fos normal / e
sunarés / duté li cjampanes...E po' via / pa' chî prâtz / a
deventâ / flours / âs / e / la meil». (Se fossi normale / suonerei
tutte le campane. E poi via per i prati a diventare fiori, api e
miele).
(Il Piccolo)
(Il Piccolo)
Voglio dirvi (Ai bambini più piccoli)
Scusatemi tanto / ma voglio dirvi / che la bambola Barbie / che si
lava da sola / non mi piace./ E comunque / non ve la compero./ Voglio
dirvi / che piccoli si è / una volta sola / e dura poco: bisogna
approfittarne / per correre / giocare / credere nelle fate / e nelle
streghe./ E quando vedete / un pazzo / un ubriacone / che fa cose
strane / che vostro padre / nemmeno le sogna / lasciatelo perdere:/
voi non potete capirlo / non dategli / né pedate / né caramelle./
Anche un povero disgraziato / si commuove / guardando la luna e le
stelle./ Voglio dirvi / che qualche volta / anche disubbidire
/ non è peccato / e che non sarete / migliori di adesso / quando
sarete / medici / ingegneri / o avvocati. Voglio dirvi…
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