Penso
alle mucche, ai vitelli, al toro; capre e pecore e perfino [...]
all’umile maiale, come a rappresentazioni celesti: mansuete,
dolorose sempre, benevole sempre, magnifiche. Non vedo perché l’uomo
debba pensare che gli appartengono, che sono suoi propri, che può
distruggerli, usarli. Concetto tra i più barbari e nefasti, da cui
procede tutta la immedicabile violenza umana, l’essere micidiale
della storia, la cui meta sembra solo l’accrescimento di sé,
tramite il possesso e la distruzione dell’altro da sé. [...] Più
uccidiamo e più siamo uccisi. Più degradiamo e più siamo
degradati.
Anna
Maria Ortese, Corpo celeste
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