Ma
naturalmente l’uomo non riesce a liberarsi di nulla, abbandona il
carcere in cui è stato concepito e generato solo nel momento della
sua morte. Entriamo in un mondo che ci è stato dato ma che non è
preparato a noi e dobbiamo venire a capo di questo mondo, se non
veniamo a capo di questo mondo andiamo in rovina, ma se non andiamo
in rovina, quale che sia la nostra natura, dobbiamo prendere
provvedimenti, dobbiamo trasformare questo mondo che ci è dato e che
non è preparato per noi e a noi, questo mondo che comunque, poiché
è fatto dai nostri predecessori, vuole aggredirci e distruggerci e
infine annientarci, questo mondo non ha in mente nient’altro per
noi, dobbiamo trasformarlo in un mondo secondo i nostri intendimenti,
dapprima restando sullo sfondo, senza farci notare, ma in seguito con
tutta l’energia possibile e molto apertamente, in modo da poter
dire, dopo qualche tempo, viviamo
nel nostro mondo, non in quello che ci è dato,
che è sempre un mondo che non ci riguarda e che vuole annientarci e
distruggerci. Già fin dai primi accenni della ragione dobbiamo
esplorare attentamente la possibilità di trasformare il mondo,
questo mondo che ci siamo trovati addosso come un abito logoro e
consunto, troppo piccolo o troppo grande per noi ma comunque logoro e
lacero davanti e didietro e frusto e puzzolente che ci è stato
tirato addosso, per così dire, dalle confezioni universali, sondare
sempre più a fondo e sempre più addentro questo sovrastato e poi
anche substrato per arrivare alla possibilità di fare nostro il
mondo che non è nostro, tutta la nostra esistenza dev’essere
concentrata esclusivamente su questa possibilità, e cioè come e in
quale modo possiamo trasformare e infine trasformeremo questo mondo
che non è il nostro
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