domenica 30 giugno 2019
giovedì 27 giugno 2019
mercoledì 26 giugno 2019
Sedie
Appunti di famiglia
Mia
nonna aveva in casa quattro sedie ma nessuna era veramente stabile.
Ogni ospite veniva fatto sedere su una sedia con un grado di
incertezza proporzionale al tormento di averlo in casa. "Tu,
siediti là", diceva indicando una persona nel gruppo. Se gli
ospiti resistevano all'elenco delle malattie, il colpo di grazia lo
piazzava fingendo di tossire nelle tazzine del caffè che portava nel
vassoio. La vecchia ci sapeva fare, aveva i suoi trucchetti. A lei
quella cosa che i figli andavano a trovarla a casa non le era mai
piaciuta. Stavamo sempre a ricordarle delle pillole e delle analisi e
le avevano anche comprato la macchinetta della pressione cinese al
Lidl per nove euro. Non facevano altro che parlare di soldi e degli
occhiali per i figli e avevano tutti la fissa per i corsi di nuoto.
Non appena restava da sola, la vecchia metteva sotto la lingua trenta
gocce di lexotan e faceva su facebook l'elenco dei morti. Contattava
i figli di amici che non vedeva da un mucchio di tempo e chiedeva
informazioni sui genitori e quando gli davano l'ok, lei depennava il
nome. L'elenco dei morti era l'unica cosa che veramente le piacesse.
Poi mandava dei messaggi ai figli, cose tipo, "tuo padre ci ha
sempre provato", oppure, "tua madre ha un figlio segreto".
Le piaceva l’idea di sopravvivere a tutti. Comunque, la sedia
peggiore della sua cucina era quella che lei chiamava la sedia del
traditore. Mancavano almeno tre centimetri a una gamba e sedersi su
quella sedia richiedeva la stessa volontà necessaria a domare un
toro. Ho visto gente spaccarsi la faccia contro il bordo del tavolo e
a nessuno era consentito sedersi sulla sedia del traditore, perché
quella era la sedia del nonno.
Gianni
Solla
martedì 25 giugno 2019
lunedì 24 giugno 2019
venerdì 21 giugno 2019
Stanze
Tutti
perdiamo continuamente tante cose importanti. Occasioni preziose,
possibilità, emozioni irripetibili. Vivere significa anche questo.
Ma ognuno di noi nella propria testa - si, io immagino che sia nella
testa - ha una piccola stanza dove può conservare tutte queste cose
in forma di ricordi. Un po’ come le sale della biblioteca, con
tanti scaffali. E per poterci orientare con sicurezza nel nostro
spirito, dobbiamo tenere in ordine l'archivio di quella stanza:
continuare a redigere schede, fare pulizie, rinfrescare l'aria,
cambiare l'acqua ai fiori. In altre parole, tu vivrai per sempre
nella tua biblioteca personale.
Haruki Murakami, Kafka sulla spiaggia
Haruki Murakami, Kafka sulla spiaggia
martedì 18 giugno 2019
giovedì 13 giugno 2019
mercoledì 12 giugno 2019
martedì 11 giugno 2019
Imperturbati
Non
cerco un percorso per essere lasciata in pace e, se anche lo
conoscessi, non lo insegnerei MAI. È meraviglioso lasciarci
disturbare dalla vita, dagli altri e nello stesso tempo non restarne
schiacciati. Non si tratta di essere imperturbabili, ma imperturbati
dal turbamento, accogliere ogni visitatore, e si sa, i più scomodi e
molesti hanno grandi doni in tasche nascoste. E accogliere non è
accettare, si può accogliere l’inaccettabile, e poi ci si può più
efficacemente ribellare, spingere via, scappare, denunciare, quando è
necessario. Si è vivi e saper dire o urlare: “NO!” è una delle
facoltà umane più onorevoli.
Chandra
Livia Candiani, Il silenzio è cosa viva
lunedì 10 giugno 2019
Vastità
Siamo
cieli vasti e restare connessi alla vastità ci permette di vedere i
fenomeni che ci attraversano, di riconoscerli, sentirli e guardarli
svanire. E se c’è malinconia, nostalgia, disperazione nel vederli
spuntare o nel vederli scomparire, sono altrettanti uccelli, uccelli
disperati, malinconici, struggenti, e guardiamo anche loro, li
sentiamo, li lasciamo sostare tutto il tempo che vogliono e poi li
guardiamo volare via quando il loro tempo è venuto.
Non
è facile, si tratta di spiazzarsi, non essere più centro, ma una
grande periferia sconfinata, e veder sorgere e tramontare i fenomeni
e accorgerci dell'amorevole sfondo che rimane e che non è di nessuno.
Chandra Livia Candiani, Il silenzio è cosa viva
domenica 9 giugno 2019
venerdì 7 giugno 2019
Amore
Parliamo
di me, parliamo del fatto che Solomon ha dimostrato sempre e solo di
amare sua moglie, la quale non merita né ha mai meritato un amore e
una persona così -. Respirò. – Parliamo del cancro. Ricordiamoci
che una certa persona si è accampata nella mia stanza al B’nai B’
rith per una cosa come ventiquattro ore al giorno finchè i medici
non dicono che quel Silverfish ha già penato abbastanza e gli danno
il permesso di portarmi a casa. Parliamo di un uomo che trascura un
lavoro che ama e che è la sua vita per la moglie che dimostra di
amare di più proprio quando lei ha più bisogno di saperlo. Parliamo
di un uomo con questa moglie che è mutilata …
-
Sophie.
-
Una moglie priva di importanti attributi femminili, che le pupille di
quest’uomo ancora si dilatano quando i suoi occhi mi guardano. Un
uomo che mi guarda ridurmi a un mucchietto d’ossa e protuberanze e
odora il mio odore e asciuga le mie lacrime e quando serve porta via
i miei escrementi come fossero regali e pulisce il mio vomito quando
non faccio in tempo ad andare in bagno e non mi fa sentire debole,
sporca, o meno persona, o meno Sophie del giorno in cui ha ballato
insieme a me con le braccia rotte -. Sophie ebbe un violento attacco
di tosse. – Potreste anche scoprire che è un marziano venuto dallo
spazio, per quanto me ne importa. E’ mio marito e io e lui siamo
uniti da una cosa chiamata amore che, casomai non l’aveste ancora
sentita nominare, non è solo un sentimento, è un modo di vivere la
vita con una persona, e la vostra Sophie malata è fatta di questo
amore, di questa vita e di questo Silverfish, e la mia vita è la sua
e tutt’e due siamo quello che siamo grazie all’altro -.
David Foster Wallace, Solomon Silverfish
750.000
Anni fa L'amore
Macachi da salvare
Sei
scimmie in attesa che il bisturi della sperimentazione intervenga per
mutilare la loro capacità di vedere, un appello perché venga
revocato il nulla osta a procedere, un
video realizzato sotto copertura
che documenta per la prima volta la sconvolgente quotidianità di
primati detenuti nel laboratorio di un'università italiana: il tema
è molto doloroso, scomodo, difficile da affrontare sul piano morale
e scientifico.
A
cercare di scardinare il muro della ricerca più convenzionale, che
sostiene ancora l'indispensabilità dei test sugli animali contro
quella nuova scienza che li ritiene superati e addirittura dannosi
per il progresso, sono oggi due distinte e solidali iniziative mosse
dall'urgenza di salvare la vista e la vita a un gruppo di macachi
detenuti negli stabulari dell'Università di Parma.
Il
volto scomodo della sperimentazione sugli animali ce lo rivela Essere
Animali
attraverso una terribile investigazione che mostra macachi
prigionieri con gli elettrodi impiantati nel cranio, in preda a
comportamenti ossessivi, nell'agghiacciante attesa di essere
immobilizzati e prelevati per andare a subire le sedute di
sperimentazione.
E
la Lav
lancia una decisa petizione
su Change.org
dal titolo #civediamoliberi
"affinché il Ministero della Salute revochi
subito al Dipartimento
di Psicologia
dell'Università
di Torino
l’autorizzazione e il milionario
finanziamento
per la ricerca condotta assieme all'Università
di Parma,
presso cui i macachi sono detenuti, dal titolo LIGHTUP
– Turning the cortically blind brain to see".
Questi test sarebbero particolarmente crudeli e inutili perché,
spiega la Lav "lo studio prevede in parallelo anche una
sperimentazione su malati che volontariamente e consapevolmente si
sottopongono alla ricerca. Per le scimmie intanto si prevede un lungo
periodo di training con immobilizzazione in più parti del corpo per
ore, quasi tutti i giorni, della durata di settimane se non mesi, con
l’asportazione chirurgica di aree della corteccia visiva al fine di
rendere i macachi clinicamente ciechi. Abbiamo fatto una richiesta di
accesso agli atti per avere maggiori dettagli su questo progetto ma
il Ministero della Salute da un anno ci nega queste informazioni".
Dice
Simone
Montuschi,
portavoce di Essere Animali: "In base alla normativa vigente, il
Ministero della Salute può autorizzare la sperimentazione sui
primati non umani solo in
casi eccezionali, eppure,
in base agli stessi dati ministeriali, negli ultimi tempi le
concessioni sono raddoppiate,
fino a raggiungere 586 uccisioni nel 2017. Chiediamo anche noi che a
maggior ragione questo test superfluo sia fermato e più in generale
ricordiamo che l’Italia è stato il primo paese a istituire, con la
Legge 12 ottobre 1993 n. 413, l’obiezione di coscienza alla
sperimentazione animale per gli studenti delle facoltà
scientifiche."
(…)
Lo
stesso Ministero ha classificato questa sperimentazione con una
classe di dolore definita grave, la più alta in assoluto. Non siamo
noi a dire che gli animali soffrono a un livello altissimo e
prolungato, per 60 mesi, 5 anni di sperimentazione. Vengono
immobilizzati in più punti del corpo per più ore al giorno, non su
una poltroncina, ma nella sede da primate."
Cos'è
la sede da primate? Chi ha nervi saldi può scoprirlo
guardando il video di Essere Animali. (...)
giovedì 6 giugno 2019
Grano a Manhattan
Nel
1982
il Public Art Fund
commissionò ad Agnes
Denes – artista
nata a Budapest nel 1931, ma vissuta negli Stati Uniti fin
dall’adolescenza – la creazione di un’opera
pubblica che
dovesse essere tra
le più rappresentative
mai esposte a Manhattan. Anziché realizzare una scultura, Denes –
pioniera del movimento americano conosciuto come Land Art – piantò
un bellissimo campo
di grano, accanto
alle scintillanti Torri Gemelle, usando proprio la terra scavata
durante la costruzione del World Trade Center, in quel fazzoletto di
terra dove poi sarebbe sorto il moderno quartiere di Battery Park
City.
Agnes
Denes spiega che la sua “decisione
di piantare un campo di grano a Manhattan, invece di progettare solo
un’altra scultura pubblica, è nata da una preoccupazione nata da
molto tempo, e dal bisogno di richiamare l’attenzione sulle nostre
errate priorità e sul deterioramento del valori umani”.
L’opera,
chiamata Wheatfield –
A Confrontation,
rappresentava anche “un
potente paradosso”:
piantare grano su un terreno edificabile valutato all’epoca 4,5
miliardi di dollari!
Perché
“il campo di grano era
un simbolo, un concetto universale. Rappresenta cibo, energia
commercio, economia. Voleva essere un riferimento a cattive gestioni,
spreco, fame nel mondo e preoccupazioni ecologiche”,
ma non solo.
Il
campo di grano era anche il simbolo di un modo di vivere diverso,
legato a ritmi molto diversi da quelli vissuti in una città convulsa
come New York: “Era lo
Shangri-la, un piccolo paradiso, la propria infanzia, un caldo
pomeriggio d’estate in campagna, la pace, i valori dimenticati,
piaceri semplici.”
Due
assistenti e alcuni volontari hanno aiutato l’artista a rimuovere i
rifiuti dal terreno, e a piantare il grano: lavorando solo con
strumenti manuali sono stati scavati a mano 285 solchi, nei quali
sono posti i semi, poi ricoperti di terra. Le spighe dorate, che sono
state raccolte il 16 agosto 1982, hanno prodotto 450 chili di grano,
che poi ha viaggiato in 28 città, per una mostra chiamata “The
International Art Show for the End of World
Hunger”
.
Il
grano è stato portato via dalla gente, per essere piantato in molte
parti del mondo.
Il New
York Times scrisse di
Wheatfield – A
Confrontation:
“Guardare attraverso questo campo di grano significa vedere la
Statua della Libertà, Ellis Island e il traffico di navi come in una
surreale illusione.”
mercoledì 5 giugno 2019
martedì 4 giugno 2019
Futuro
Quando
si parla di tempo non ci si riferisce, ovviamente, al tempo
dell´orologio ma al tempo soggettivo, al tempo vissuto: il tempo
interiore della speranza è il futuro, come quello dell´attesa, il
tempo interiore della nostalgia e della tristezza è il passato,
benché con incrinature diverse, il tempo della gioia è il presente
così friabile e così inafferrabile, il tempo dell´ira è il
presente dilatato, e deformato, in slanci di aggressività, il tempo
dell´ansia è il futuro: un futuro che si rivive come già
realizzato nelle ombre dolorose di una morte vissuta come
imminente.
E. Borgna,
Le emozioni ferite
Il
futuro desertifica
la vita ipotetica
la vita ipotetica
Passato / Presente
Il
passato:
Il
passato
Il
passato è mio padre che
cerca
nella tasca una sigaretta
Il
passato è mia madre con i capelli neri
Il
passato è la mia voglia di crescere in fretta
Il
passato è una giovane donna
ferma
davanti a una porta
Di
lei ormai cosa mi importa?
Il
passato di tanti anni fa
alla
fine del quarantanove
è
il massacro del feudo Fragalà
sulle
terre del Barone Breviglieri
Tre
braccianti stroncati
col
fuoco di moschetto
in
difesa delle proprietà.
Sono
fatti di ieri?
Il
passato è la mia rabbia che si fa tuono
Il
passato è un fuoco che brucia i pensieri
Il
passato è un ragazzo che diventa uomo
Il
presente:
Il
presente
Il
presente è un aratro che
scava
dentro al cuore in fretta
Il
presente ha tutti questi anni da ricordare
Il
presente ha tante porte di galera da contare
Il
presente passa e ripassa come
un
urlo di sirena
alla
fine di una lunga giornata
Il
presente vola e nessuno può dire
se
è migliore o peggiore
come
molti credono,
perché
la libertà è difficile
e
fa soffrire.
Tu
dove vai? Quella voce che chiama!
Di
me cosa importa?
Il
presente è stanze strette è autostrade infinite
Il
presente è una macchia di sangue da 50 Km
Il
presente è un fiume di sole con giovani vite
Roberto
Roversi, Passato, Presente
Il
presente è un fiume di sole
lunedì 3 giugno 2019
Cactus Dome
Il
Cactus Dome o Runit Dome, la gigantesca cupola di cementro costruita
sopra il materiale radioattivo dei test nucleari condotti dagli USA
nel Pacifico, inizia a mostrare preoccupanti crepe e i contaminanti
si stanno già riversando nell’ambiente circostante. C’è il
rischio di una catastrofe ambientale, resa più pericolosa dai
cambiamenti climatici.
L'enorme cupola messa a protezione dei detriti radioattivi provocati dai test atomici statunitensi nelle Isole Marshall non solo sta già facendo fuoriuscire i pericolosissimi contaminanti, ma è a rischio crollo perché si stanno formando numerose crepe nei pannelli di cemento. La minaccia per la salute degli abitanti dell'isola Runit dell'atollo Enewetak è concreta, così come quella di una catastrofe ambientale, resa ancor più probabile dagli effetti nefasti dei cambiamenti climatici.
Il cosiddetto Runit Dome o Cactus Dome, che si estende per ben 9mila metri quadrati ed è spesso 45 centimetri, fu costruito dall'esercito americano negli anni '70 del secolo scorso, circa 20 anni dopo la fine dei catastrofici test nucleari condotti in mare, sulle lagune, in cielo e sotto terra negli splendidi atolli delle Isole Marshall. Tra il 1946 e il 1958 il governo USA fece esplodere in loco ben 67 ordigni nucleari, tra i quali la devastante bomba a idrogeno “Bravo”, mille volte più potente di quella sganciata su Hiroshima. La cupola fu costruita sopra il cratere di 115 metri generato dal test “Cactus”, che sprigionò un'energia di 18 chilotoni. Al suo interno gli americani vi misero dentro 84mila metri cubi di materiale radioattivo prelevato dai vari siti dei test, e lo richiusero con la gigantesca cupola, un lavoro durato 3 anni e costato 250 miliardi di dollari al governo a stelle e strisce. Assicurarono che il rischio radioattivo fosse contenuto, pagarono un indennizzo alle Isole Marshall e permisero il ritorno degli abitanti in quel paradiso trasformato in un inferno.
L'enorme cupola messa a protezione dei detriti radioattivi provocati dai test atomici statunitensi nelle Isole Marshall non solo sta già facendo fuoriuscire i pericolosissimi contaminanti, ma è a rischio crollo perché si stanno formando numerose crepe nei pannelli di cemento. La minaccia per la salute degli abitanti dell'isola Runit dell'atollo Enewetak è concreta, così come quella di una catastrofe ambientale, resa ancor più probabile dagli effetti nefasti dei cambiamenti climatici.
Il cosiddetto Runit Dome o Cactus Dome, che si estende per ben 9mila metri quadrati ed è spesso 45 centimetri, fu costruito dall'esercito americano negli anni '70 del secolo scorso, circa 20 anni dopo la fine dei catastrofici test nucleari condotti in mare, sulle lagune, in cielo e sotto terra negli splendidi atolli delle Isole Marshall. Tra il 1946 e il 1958 il governo USA fece esplodere in loco ben 67 ordigni nucleari, tra i quali la devastante bomba a idrogeno “Bravo”, mille volte più potente di quella sganciata su Hiroshima. La cupola fu costruita sopra il cratere di 115 metri generato dal test “Cactus”, che sprigionò un'energia di 18 chilotoni. Al suo interno gli americani vi misero dentro 84mila metri cubi di materiale radioattivo prelevato dai vari siti dei test, e lo richiusero con la gigantesca cupola, un lavoro durato 3 anni e costato 250 miliardi di dollari al governo a stelle e strisce. Assicurarono che il rischio radioattivo fosse contenuto, pagarono un indennizzo alle Isole Marshall e permisero il ritorno degli abitanti in quel paradiso trasformato in un inferno.
Ma
all'interno del cratere non fu messo alcun rivestimento, e i
contaminanti radioattivi hanno iniziato a riversarsi lentamente
all'esterno, passando attraverso la porosa roccia corallina nel
terreno e nelle falde acquifere. Ora anche la cupola di cemento sta
cedendo, e la situazione potrebbe peggiorare drammaticamente per la
popolazione locale e l'ambiente, anche se secondo alcuni ormai è già
come se non ci fosse.
domenica 2 giugno 2019
Tentare l'impossibile
La
nostra vita è un'opera d'arte – che lo sappiamo o no, che ci
piaccia o no. Per viverla come esige l'arte della vita dobbiamo –
come ogni artista, quale che sia la sua arte – porci delle sfide
difficili (almeno nel momento in cui ce le poniamo) da contrastare a
distanza ravvicinata; dobbiamo scegliere obiettivi che siano (almeno
nel momento in cui li scegliamo) ben oltre la nostra portata, e
standard di eccellenza irritanti per il loro modo ostinato di stare
(almeno per quanto si è visto fino allora) ben al di là di ciò che
abbiamo saputo fare o che avremmo la capacità di fare.
Dobbiamo
tentare l'impossibile. E possiamo solo sperare –senza poterci
basare su previsioni affidabili e tanto meno certe– di riuscire
prima o poi, con uno sforzo lungo e lancinante, a eguagliare quegli
standard e a raggiungere quegli obiettivi, dimostrandoci così
all'altezza della sfida. L'incertezza è l'habitat naturale della
vita umana, sebbene la speranza di sfuggire ad essa sia il motore
delle attività umane.
Sfuggire
all'incertezza è un ingrediente fondamentale, o almeno il tacito
presupposto, di qualsiasi immagine composita della felicità. È per
questo che una felicità «autentica, adeguata e totale» sembra
rimanere costantemente a una certa distanza da noi: come un orizzonte
che, come tutti gli orizzonti, si allontana ogni volta che cerchiamo
di avvicinarci a esso.
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