La
nostra vita è un'opera d'arte – che lo sappiamo o no, che ci
piaccia o no. Per viverla come esige l'arte della vita dobbiamo –
come ogni artista, quale che sia la sua arte – porci delle sfide
difficili (almeno nel momento in cui ce le poniamo) da contrastare a
distanza ravvicinata; dobbiamo scegliere obiettivi che siano (almeno
nel momento in cui li scegliamo) ben oltre la nostra portata, e
standard di eccellenza irritanti per il loro modo ostinato di stare
(almeno per quanto si è visto fino allora) ben al di là di ciò che
abbiamo saputo fare o che avremmo la capacità di fare.
Dobbiamo
tentare l'impossibile. E possiamo solo sperare –senza poterci
basare su previsioni affidabili e tanto meno certe– di riuscire
prima o poi, con uno sforzo lungo e lancinante, a eguagliare quegli
standard e a raggiungere quegli obiettivi, dimostrandoci così
all'altezza della sfida. L'incertezza è l'habitat naturale della
vita umana, sebbene la speranza di sfuggire ad essa sia il motore
delle attività umane.
Sfuggire
all'incertezza è un ingrediente fondamentale, o almeno il tacito
presupposto, di qualsiasi immagine composita della felicità. È per
questo che una felicità «autentica, adeguata e totale» sembra
rimanere costantemente a una certa distanza da noi: come un orizzonte
che, come tutti gli orizzonti, si allontana ogni volta che cerchiamo
di avvicinarci a esso.
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