È
incredibile come possa accadere, ogni tanto, che uno si ritrovi a
avere la propria testa o la propria vita ridotta come una landa
attraversata di continuo da delle bufere, e ad aver paura che dopo
rimarrà solo della roba secca che va in pezzi. Come quando uno si
sente come se ai bordi del suo cervello si stessero alzando dei venti
pieni di danno, che non possano essere fermati in alcun modo, e sa
che quindi deve soltanto lasciarli passare, aspettando e stando il
più fermo possibile tenendosi ben attaccato, nella speranza che non
succeda niente.
Ma
d'estate, ho pensato spesso, la luce, che cade da dovunque, crea
delle incrinature bestiali perché comunque s'infiltra nello stesso
giro che fa l'umore, obbligandolo a muoversi. D'estate, ogni venti o
trenta secondi, una luce spaventosa dà una segata al tuo cattivo
umore; un semplice minuto di malumore, di qualunque forma sia,
patisce due o tre interruzioni e non riesce a diventare un malumore
standard della tua persona, quindi ha poca possibilità di
attecchire. Perché nonostante tutto siamo ancora un po' fatti come i
cani o gli alberi, ancora suscettibili all'abbondanza luminosa; e a
tutto questo una persona, le cui possibilità di vita non siano
andate completamente in putrefazione, deve farci caso.
Ugo
Cornia, Sulle tristezze e i ragionamenti
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