venerdì 31 gennaio 2014

Malacqua



“La conoscevano bene, loro, la pioggia di Napoli, che non cade mai e quasi mai, ma che quando cade poi non la smette più” 


La malattia aveva cancellato gli orpelli e le rutilanti decorazioni, ed aveva spento le grida nella strada, ed i gerani ai balconi s’erano fatti giallastri, e la finzione allegra del fatto collettivo si era trasformata adesso in dura constatazione di solitudine. E questo restava, della città impagabile, questo soltanto, e l’ombra d’un passato scolorito e la retorica che pretendeva di essere poesia, e nulla, e nulla, e quale città diversa avrebbe vissuto un giorno?, quale città? quella dei vicoli e dei travestiti e delle sigarette di contrabbando?, o quella del Nuovo Policlinico, della Tangenziale, della 167 di Secondigliano?, quale sarebbe stata un giorno la vita che si arrampica oggi tra le cave di tufo delle Fontanelle e gli alberi verdastri della Floridiana?, e cosa vogliamo farne di questa città dolente? 


 Per queste strade nascoste umide della città altro non sopravviveva che l’attesa, e provvisorietà sconcertante infida scendeva a incidere i pensieri e niente scampava, niente tranne che questo senso disperato e triste che adesso probabilmente ogni cosa sarebbe mutata.







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