“La conoscevano bene, loro, la pioggia di Napoli, che non cade mai
e quasi mai, ma che quando cade poi non la smette più”
La malattia aveva cancellato gli orpelli e le rutilanti
decorazioni, ed aveva spento le grida nella strada, ed i gerani ai balconi
s’erano fatti giallastri, e la finzione allegra del fatto collettivo si era
trasformata adesso in dura constatazione di solitudine. E questo restava, della
città impagabile, questo soltanto, e l’ombra d’un passato scolorito e la
retorica che pretendeva di essere poesia, e nulla, e nulla, e quale città
diversa avrebbe vissuto un giorno?, quale città? quella dei vicoli e dei travestiti
e delle sigarette di contrabbando?, o quella del Nuovo Policlinico, della
Tangenziale, della 167 di Secondigliano?, quale sarebbe stata un giorno la vita
che si arrampica oggi tra le cave di tufo delle Fontanelle e gli alberi
verdastri della Floridiana?, e cosa vogliamo farne di questa città dolente?
Per queste strade
nascoste umide della città altro non sopravviveva che l’attesa, e provvisorietà
sconcertante infida scendeva a incidere i pensieri e niente scampava, niente
tranne che questo senso disperato e triste che adesso probabilmente ogni cosa sarebbe
mutata.
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