venerdì 10 gennaio 2014

Saudade


Antonio Tabucchi in uno dei suoi ultimi libri, “Viaggi e altri viaggi”, dà una spiegazione cristallina della saudade: sei in un posto bellissimo, magari proprio in rua da Saudade, sopra la cattedrale di Lisbona, con lo spettacolare panorama del Tago di fronte a te. All'improvviso hai una stretta di nostalgia perché sai che questo spettacolo ti mancherà una volta che sarai a casa tua, lontano dalla bellezza di questo posto e di questo momento. Ecco cos'è la saudade: il sentimento di perdita, nostalgia, struggimento al futuro per qualcosa che hai e di cui non riesci a godere appieno perché sai che prima o poi la perderai.



Questa parola, termine chiave di tutta la lingua e la cultura portoghese, impossibile da tradurre in un idioma diverso, riflette uno stato d’animo, un sentimento che appartiene al popolo lusitano, che lo definisce e lo imprigiona allo stesso tempo.
Tradizionalmente, la saudade è associata alla malinconia causata dal ricordo di un bene del quale si è privati; al dolore provocato dall’assenza di qualcuno o dell’oggetto amato; al ricordo dolce e simultaneamente triste di una persona a noi cara; alla nostalgia, o come suggerisce Tabucchi, al “desìo” dantesco, «che nello strazio reca una tenera dolcezza». Qualcosa di intimamente legato al passato, dunque. Ma non solo, la saudade è qualcosa di più complesso. Come disse Manoel de Oliveira, «significa che l’armonia si realizza con l’aiuto dei sentimenti contrari». (…) viene voglia di tradurla con “speranza”. Una speranza metafisica, filosofica, religiosa nel senso più ampio. Come una speranza dell’al di là, di un’altra vita, come l’evocava Nietzsche, la speranza in un futuro che non conosciamo. Qualcosa che sta tra la disperazione che si prova nel mondo e la terribile voglia di vivere»
(http://www.uzak.it/)





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