martedì 31 marzo 2015
lunedì 30 marzo 2015
Housekeeping
Per me allora era fonte
sia di terrore che di conforto il fatto di sapere che spesso sembravo
invisibile o, per essere precisi, il fatto di esistere in modo incompleto e
minimo. Mi sembrava di non avere impatto sul mondo, e di avere in cambio il
privilegio di poterlo osservare a sua insaputa. Ma la mia allusione a questa
sensazione di spettrale inconsistenza mi sembrò molto particolare e il sudore
incominciò a coprirmi tutto il corpo, dichiarandomi immediatamente colpevole di
patente corporeità.
Marilynne Robinson, Padrona
di casa
giovedì 26 marzo 2015
Memoria
Quando si comincia a dimenticare
le cose – non mi riferisco all’Alzheimer, ma solo alle prevedibili conseguenze
dell’età – si può reagire in vari modi. Ci si può mettere d’impegno e cercare
di costringere la memoria a cacciare fuori il nome di quel conoscente, di quel
fiore, quella stazione ferroviaria, quell’astronauta… Oppure si può ammettere
la propria défaillance e prendere misure pratiche al riguardo, utilizzando
testi di consultazione e internet. O piú semplicemente, si può lasciar perdere
– infischiarsene di ricordare – e scoprire, a volte, che l’elemento smarrito
riaffiora magari a distanza di un’ora o di un giorno, spesso nel corso di
quelle interminabili notti insonni che la vecchiaia infligge. È una cosa che
impariamo tutti, tutti quelli di noi che dimenticano, intendo.
Ma impariamo anche qualcos’altro, e cioè che al nostro cervello non piace che gli si attribuisca un ruolo fisso. Proprio quando crediamo che sia tutta una questione di decrescita, di sottrazioni e divisioni, ecco che la nostra mente, la nostra memoria, possono sorprenderci. Quasi a dirci: Non pensare di poter fare conto su un rassicurante processo di graduale declino – la vita è molto piú complicata di cosí. E allora il cervello si mette a lanciarti addosso brandelli di cose, perfino a sbrogliare certi ben noti grovigli della memoria. E, con mio grande sgomento, è proprio questo che mi stava capitando.
Ma impariamo anche qualcos’altro, e cioè che al nostro cervello non piace che gli si attribuisca un ruolo fisso. Proprio quando crediamo che sia tutta una questione di decrescita, di sottrazioni e divisioni, ecco che la nostra mente, la nostra memoria, possono sorprenderci. Quasi a dirci: Non pensare di poter fare conto su un rassicurante processo di graduale declino – la vita è molto piú complicata di cosí. E allora il cervello si mette a lanciarti addosso brandelli di cose, perfino a sbrogliare certi ben noti grovigli della memoria. E, con mio grande sgomento, è proprio questo che mi stava capitando.
Julian Barnes, Il
senso di una fine
martedì 24 marzo 2015
Invecchiare
La maggior parte di noi rimasti non ha
avuto nulla in contrario con l’idea di invecchiare. Sempre meglio
dell’alternativa, secondo me. No, voglio dire un’altra cosa. Che quando hai
vent’anni, pur essendo confuso e dubbioso sulle tue mire e aspirazioni, hai
comunque forte il senso di cosa sia la vita e di cosa tu sia o possa diventare,
in quella vita. Dopo… beh, dopo ci sono piú incertezze, piú sovrapposizioni,
marce indietro, falsi ricordi. Da giovane sei in grado di ricordarti la tua
breve esistenza tutta intera. Piú tardi la memoria si riempie di toppe e
brandelli. È un po’ come la scatola nera degli aerei, che registra quel che
accade in caso di incidente. Se non succede nulla, il nastro si cancella da sé.
Perciò, se davvero precipiti, è chiaro perché l’hai fatto; ma se non vai giú,
allora il giornale di bordo del tuo viaggio si fa assai meno limpido.
Oppure, per metterla in un altro modo. Qualcuno una volta ha detto che i suoi periodi storici preferiti erano quelli in cui tutto precipita, perché significano la nascita imminente di qualcosa di nuovo. Ha senso questa teoria se la applichiamo alle vite dei singoli individui? Morire quando sta per nascere qualcosa di nuovo, anche se la novità in questione riguarda proprio noi? Perché, esattamente come ogni cambiamento storico o politico prima o poi delude, cosí succede con il diventare adulti. Con la vita. Certe volte penso che lo scopo dell’esistenza sia quello di riconciliarci, per sfinimento, con la sua perdita finale, dimostrandoci che, indipendentemente dal tempo che ci vorrà, la vita non è affatto all’altezza della propria fama.
Oppure, per metterla in un altro modo. Qualcuno una volta ha detto che i suoi periodi storici preferiti erano quelli in cui tutto precipita, perché significano la nascita imminente di qualcosa di nuovo. Ha senso questa teoria se la applichiamo alle vite dei singoli individui? Morire quando sta per nascere qualcosa di nuovo, anche se la novità in questione riguarda proprio noi? Perché, esattamente come ogni cambiamento storico o politico prima o poi delude, cosí succede con il diventare adulti. Con la vita. Certe volte penso che lo scopo dell’esistenza sia quello di riconciliarci, per sfinimento, con la sua perdita finale, dimostrandoci che, indipendentemente dal tempo che ci vorrà, la vita non è affatto all’altezza della propria fama.
domenica 22 marzo 2015
Briciole
Quando
il gatto ebbe terminato le sue effusioni, mi sentivo molto meglio. Il mondo
offriva ancora delle possibilità e delle amicizie che non potevo trascurare. Il
gatto, adesso, mi si strofinava contro il viso facendo le fusa. Cercai di
imitare il suo ron ron e tutti e due ci divertimmo un mondo a chi faceva le
fusa più forte. Cercai le briciole della torta in fondo alla tasca e gliele
diedi. Mostrò di gradirle e si appoggiò contro il mio naso a coda dritta. Mi
mordicchiò l’orecchio. Insomma, la vita valeva di nuovo la pena di essere
vissuta. Cinque minuti dopo [...] mi diressi verso casa, le mani in tasca e
zufolando, il gatto alle calcagna. Ho sempre pensato che è meglio avere con sé
qualche briciola di torta, nella vita, se si vuole essere amati in maniera veramente
disinteressata.
Romain Gary, La promessa dell’alba
lunedì 16 marzo 2015
Le cose mute
Niente,
è che a me piacciono da sempre le cose mute,
quando l’io zittisce
e si alza il volume della voce
non solo degli uccelli
ma anche del silenzio dell’armadio
e del tavolo
della lampada e del letto.
Allora niente,
vivo in una nuvola di luce
dove tutto rabbrividisce
e fa parola, allora bevo
all’orlo del mondo
alla sua fontana
quando l’io zittisce
e si alza il volume della voce
non solo degli uccelli
ma anche del silenzio dell’armadio
e del tavolo
della lampada e del letto.
Allora niente,
vivo in una nuvola di luce
dove tutto rabbrividisce
e fa parola, allora bevo
all’orlo del mondo
alla sua fontana
Chandra
Livia Candiani
Alle
amiche e agli amici, al mio Maestro che ha 2557 anni, a chi amo, a
chi mi ama,
ai
monaci della foresta, agli indifferenti e agli spaventati dell’amore
e dell’amicizia,
ai
vivi, ai morti, e ai mai nati, ai sopravvissuti, a tutti gli oggetti
del lavoro umano,
tavoli,
sedie e letti, e pane e vino, e orti, e a tutti i cari, furiosi o
delicati, animali,
quelli
che hanno vissuto con me e quelli appena intravisti, quelli che mi
hanno
azzannato
e graffiato e quelli che mi hanno accarezzato e fatto ‘muso-muso’,
quelli
che ho mangiato, quelli che lavorano, agli alberi vecchi e giovani,
solitari
e socievoli, al fondo del mare, alle onde una a una, ai granelli di
sabbia,
alle
nuvole, alle montagne, ai sassi, alle conchiglie, ai fiumi, alla
terra terra,
ai
temporali, alla grandine, alle pozzanghere, all’erba, al ghiaccio,
ai tuoni, ai fiori,
alle
mani e a tutto il corpo, al vento, ai vulcani, ai laghi, alla
nebbia,
agli
abbracci e alle parole, ai deserti, alle steppe, ai frutti e alle
verdure,
alle
foreste, ai fulmini, a tutte le facce del sole, agli astri, al
cielo che arriva
fino
a terra, alla pioggia, alla prediletta neve, alla luna di cui porto
il nome,
alla
notte, alla luce, all’universo che non finisce, alla voce del
silenzio,
al
senza nome, alla divina compagnia, grazie e grazie
giovedì 12 marzo 2015
Non di questo presente
Non di questo presente ora bisogna
vivere - ma in esso sì: non c'è modo,
pare, d'averne un altro, non c'è chiodo
che scacci questo chiodo. Nè a chi sogna
va meglio, che le più volte si infogna
a figurarlo, e fa più groppi al nodo
se cerca di disfarlo (sta nel todo
che si crede nel nada, sempre) o agogna,
ma con che lama? troncarlo. La mente
infortunata non ha altra fortuna,
dunque, che nel pensiero? Certo a niente
più la mia si consola che se in una
deposizione o un offertorio gente
dispersa solennemente s'aduna.
vivere - ma in esso sì: non c'è modo,
pare, d'averne un altro, non c'è chiodo
che scacci questo chiodo. Nè a chi sogna
va meglio, che le più volte si infogna
a figurarlo, e fa più groppi al nodo
se cerca di disfarlo (sta nel todo
che si crede nel nada, sempre) o agogna,
ma con che lama? troncarlo. La mente
infortunata non ha altra fortuna,
dunque, che nel pensiero? Certo a niente
più la mia si consola che se in una
deposizione o un offertorio gente
dispersa solennemente s'aduna.
Giovanni
Raboni
domenica 8 marzo 2015
sabato 7 marzo 2015
Vibrazione
Non
siamo mai del tutto silenziosi. Anche nei sogni possiamo percepire in certi
momenti una specie di ronzio di un alveare di api, di insistenti zanzare in
altri. Un brusio di insetto che giustifica da solo il fatto che, nei tempi
aurorali della cultura greca, l'anima sia stata designata con il nome di un
insetto, «psiche», farfalla. Un insetto che è anche simbolo di libertà. Non
canta la farfalla, come si sa, nè emette un suono particolare; ma una farfalla
non è mai quieta, le vibra il corpo delicato, le vibrano soprattutto le ali. E
questa vibrazione produce un lieve suono inconfondibile, misterioso e tenace,
un filo di seta che non si rompe e che sembra essere il riflesso di uno
sconosciuto, inudibile suono del mondo intero, del cosmo che vibra sempre. Una
vibrazione iniziale, del prima e del dopo, sembra condensarsi nel palpitare
tenace del cuore.
Maria Zambrano
mercoledì 4 marzo 2015
Question
Esplodere o implodere - disse
Qfwfq - questo è il problema: se sia più nobile intento espandere nello spazio
la propria energia senza freno, o stritolarla in una densa concentrazione
interiore e conservarla ingoiandola. Sottrarsi, scomparire, nient'altro; trattenere
dentro di sè ogni bagliore, ogni raggio, ogni sfogo, e soffocando nel profondo
dell'anima i conflitti che l'agitano scompostamente, dar loro pace, occultarsi,
cancellarsi: forse risvegliarsi altrove, diverso. Diverso... Come diverso? Il
problema: esplodere o implodere tornerebbe a ripresentarsi? Assorbito dal
vortice di questa galassia, riaffacciarsi su altri tempi e altri cieli? Qui
sprofondare nel freddo silenzio, là esprimersi in urli fiammeggianti d'un altro
linguaggio? Qui assorbire il male e il bene come una spugna nell'ombra, là
sgorgare come uno zampillo abbagliante, spargersi, spendersi, perdersi? A che
pro allora il ciclo tornerebbe a ripetersi? Non so nulla, non voglio sapere,
non voglio pensarci: ora, qui, la mia scelta è fatta: io implodo, come se il
precipitare centripeto mi salvasse per sempre da dubbi e da errori, dal tempo
dei mutamenti effimeri, dalla scivolosa discesa del prima e del poi, per farmi
accedere a un tempo stabile, fermo, levigato e raggiungere la sola condizione
definitiva, compatta, omogenea. Esplodete, se così vi garba, irradiatevi in
frecce infinite, prodigatevi, scialacquate, buttatevi via: io implodo, crollo
dentro l'abisso di me stesso, verso il mio centro sepolto, infinitamente. Da
quanto tempo nessuno di voi sa più immaginare la forza vitale se non sotto
forma d'esplosione?
martedì 3 marzo 2015
Soltanto il mare
il mare scuro che non si scandaglia
il mare e la terra che prima o poi ci piglia
e lascio la strada agli altri, lascio l'andare
e agli altri un parlare che non mi assomiglia…
Gianmaria Testa, Il passo e l’incanto
lunedì 2 marzo 2015
Per puro scopo di conoscenza…
Si chiama Al posto loro
ed è dedicato ai quindici macachi vittime degli esperimenti al cervello negli
stabulari dell’Università di Modena e Reggio Emilia, il folgorante
cortometraggio di Piercarlo Paderno, filmaker e attivista di Animal Amnesty,
che nel giugno scorso aveva accompagnato Paolo Bernini, deputato M5S, nel vano
tentativo di un accesso chiarificatore ai laboratori. (...)
Finora, non sono state
sufficienti alla scarcerazione degli animali più di cinquantamila firme dei
cittadini e una lettera sottoscritta da ben novanta parlamentari che
chiedono, anch’essi, la liberazione dei primati, oggetto di lunghi test
invasivi e dolorosi culminanti con la morte, dalla dubbia utilità a detta degli
stessi ricercatori – di cui fu registrata una conversazione filmando di
nascosto le tristissime condizioni di detenzione di animali terrorizzati.
Paderno
ci propone dunque una riflessione in più. Ci chiede di pensare cosa proveremmo
se accadesse a noi; se la tortura, gli elettrodi impiantati nel cranio
trapanato, l’immobilizzazione con le cinghie sulla sedia di contenzione, gli
stimoli, lo stordimento, la paura, fossero vissuti da un uomo.
E’ casto e quasi
immobile, il suo brevissimo film. Non si grida né si versa una goccia di sangue
in più di quello già raggrumato sulla fronte dell'ammutolito protagonista, (…)
Ciò nondimeno, la provocazione è forte.
F
I macachi di Modena possono
essere studiati per un anno intero con elettrodi impiantati nella scatola
cranica, legati a una sedia quando non segregati da soli in una gabbia
minuscola, per essere infine uccisi in favore di un esame del cervello. Perché,
per curare quale malattia? "Effettivamente, essendo ricerca
di base, ha il solo scopo della conoscenza", è la risposta di un
ricercatore, riportata dal video realizzato dentro la struttura...
I morti
Tutti i morti della valle e
della collina non sono veramente morti: stanno, di notte, all’imbocco del
bosco, e stanno nel cuore delle persone vive. Quando i morti sono disperati per
la loro stessa morte, si girano, stringono i pugni, e a quel punto le persone
che ancora sono in vita sentono le fitte al petto e alla spalla. Nessuno muore
mai veramente, perché nessuno avrebbe voluto morire per davvero: per questo i
morti sono anime dolci da chiamare, anime da consolare, anche se hanno l’occhio
secco di paglia. Nessuno però deve storcere il muso quando c’è l’amore, quando
c’è la salute, quando c’è appetito, perché sennò i morti spengono la testa con
un respiro, spingono le persone lì dove si vede l’ultimo precipizio. I morti
chiedono ai vivi di vivere pienamente la maestà del giorno. I morti, certe
volte, vorrebbero raddrizzare una testa che cade. I morti, poi, sono pieni di
rimorsi, perché l’amore muore, l’amore è colpa: l’amore, quando si muore, è un
tormento infinito, eterno.
Andrea Di Consoli, Il padre degli animali
domenica 1 marzo 2015
Opinioni
LUOGO
COMUNE #387
Quello che distingue un
luogo comune da un’opinione personale non è che il primo è falso e la seconda è
vera, ma che il luogo comune è comune e l’opinione personale è personale. Poi
esistono svariate centinaia di miliardi di opinioni personali false e alcuni
luoghi comuni veri, anche se al momento non me ne viene in mente neanche uno.
Di certo non è il caso di
questo:
L’ateismo è una fede come
tutte le religioni.
(…)
Ma l’ateismo non è una
fede. Non lo dico per me, io non sono ateo. Io credo in Àtrantor, oscura
divinità del male che si nasconde negli anfratti quantistici dello spazio-tempo
e che ha creato il mondo per puro sadismo, un po’ come gli afroamericani hanno
creato il rap. Dico che l’ateismo non è una fede perché, semplicemente, non è
una fede, così come una mela non è un campo da tennis. La cosa difficile non è
dimostrarlo, ma dimostrarlo senza citare la teiera di Russell.
Per prima cosa gli atei
non si radunano in appositi templi per rendere grazie alla non esistenza di
Dio, non si appendono al collo una rappresentazione materiale del nulla e non
si travestono in modi bizzarri per indicare ad altri la via per non credere in
nessuna religione. Questa è già una grossa differenza, ma non è l’unica.
Siccome quelli che non
credono all’esistenza delle divinità vengono tutti messi sotto la voce “atei”,
si è portati a pensare che l’ateismo sia una concezione del mondo alternativa
alle religioni, ma non è così. Un ateo è solo uno che per qualche motivo non
ritiene plausibile l’esistenza delle divinità attualmente disponibili sul
mercato.
Poi vai a sapere cosa
pensa. Se uno è cristiano lo sai cosa pensa, per esempio pensa che l’universo
sia gestito da un tizio invisibile che duemila anni fa è sceso sulla Terra
vestito da hippy dicendo di essere il figlio di se stesso, ma, per qualche
inspiegabile motivo, non tutti gli hanno creduto. Non mi sembra un’informazione
da poco. Invece se sai che uno è ateo non sai niente di lui, perché non conosci
nemmeno una cosa in cui crede. Un ateo non è uno che non crede in niente, come
spesso si dice (luogo comune #59), così come chi non tifa per nessuna squadra
non è uno che tifa per il nulla. Quelli si chiamano nichilisti e li riconosci
perché guardano le partite sperando che finiscano tutte zero a zero. Come si fa
a chiamare “fede” una cosa che non dice niente sul mondo, l’esistenza umana o
il lavaggio delle strade?
E poi c’è questo. Tolti i
casi particolari, di solito uno nasce con una religione già in dotazione. Non
succede che uno nasca ateo, faccia una ricerca personale e poi, dopo aver
valutato attentamente tutte le offerte religiose, scelga quella che ritiene più
conveniente, come si fa con i piani tariffari degli abbonamenti telefonici. Di
solito uno conosce solo una religione, quella in cui ha fede. Invece succede
abbastanza spesso che uno, a un certo punto della vita, rifiuti la religione
con cui è nato dopo aver stabilito, secondo me a torto, che Dio non esiste. Uno
nasce religioso e poi, eventualmente, decide di diventare ateo, non il
contrario. La religione è una fede, l’ateismo è una scelta.
Pubblicato da Smeriglia | 23.2.15
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