martedì 24 marzo 2015

Invecchiare




La maggior parte di noi rimasti non ha avuto nulla in contrario con l’idea di invecchiare. Sempre meglio dell’alternativa, secondo me. No, voglio dire un’altra cosa. Che quando hai vent’anni, pur essendo confuso e dubbioso sulle tue mire e aspirazioni, hai comunque forte il senso di cosa sia la vita e di cosa tu sia o possa diventare, in quella vita. Dopo… beh, dopo ci sono piú incertezze, piú sovrapposizioni, marce indietro, falsi ricordi. Da giovane sei in grado di ricordarti la tua breve esistenza tutta intera. Piú tardi la memoria si riempie di toppe e brandelli. È un po’ come la scatola nera degli aerei, che registra quel che accade in caso di incidente. Se non succede nulla, il nastro si cancella da sé. Perciò, se davvero precipiti, è chiaro perché l’hai fatto; ma se non vai giú, allora il giornale di bordo del tuo viaggio si fa assai meno limpido.
Oppure, per metterla in un altro modo. Qualcuno una volta ha detto che i suoi periodi storici preferiti erano quelli in cui tutto precipita, perché significano la nascita imminente di qualcosa di nuovo. Ha senso questa teoria se la applichiamo alle vite dei singoli individui? Morire quando sta per nascere qualcosa di nuovo, anche se la novità in questione riguarda proprio noi? Perché, esattamente come ogni cambiamento storico o politico prima o poi delude, cosí succede con il diventare adulti. Con la vita. Certe volte penso che lo scopo dell’esistenza sia quello di riconciliarci, per sfinimento, con la sua perdita finale, dimostrandoci che, indipendentemente dal tempo che ci vorrà, la vita non è affatto all’altezza della propria fama.

Julian Barnes, Il senso di una fine 




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