Questa
è una città di saliscendi non soltanto alle finestre, ma di
scalette che scendono e risalgono per passaggi nascosti, di corti
improvvise e buie, di cunicoli arcuati da un palazzo all’altro,
camminamenti scavati nei secoli come da vermi, una città dove i
morti si sentono, composti e presenti, non morti sguaiati. Se ne
sente il respiro e il ronfo, c’è un’età in cui lo si comincia
ad avvertire nettamente, e piano piano si capisce che il pensiero
della morte non è altro che questo, la capacità di smorzare tutti
gli altri suoni, vani e caduchi, per percepire il ronzio della
comunità disincarnata e russante alla quale si apparterrà per
sempre. Non tutte le città permettono questo ascolto, il mondo è
pieno di città inconsapevoli o illuse, città sbadate, dove i morti
non si sentono, e perciò sono dei semplici scomparsi; in quelle
città bisogna cercarli negli strati sottostanti, aprire una botola
in fondo a una cantina, scoperchiando un cielo grigio su strade
ancora piene di carri e di miseria, di carbone, di tram a cavalli e
venditori d’acqua ambulanti, di una popolazione in costume con le
scarpe impolverate, dove le fabbriche continuano a sfornare
macchinari scheletrici, e una folla di ragazzini sdentati e
analfabeti solleva gli occhi e ti guarda irridente.
Daniele
Del Giudice, I racconti
Nessun commento:
Posta un commento