Lettera
alle pulci piccole in forma di testamento.
Torno
su questa lettera a qualche tempo di distanza dalla prima stesura.
Sarà un po’ meno vivace di quella versione, temo. Pura questione
di forma. Non è aumentata la sofferenza e nemmeno la paura, che in
fondo è alta da anni. Quindi non so spiegarmene del tutto le
ragioni. Forse un soprassalto di pudore: diciamo che il tono
allegretto che avevo scelto per la prima versione rispondeva a una
necessità di pudore, ma a rilettura suona sopra le righe e inadatto.
Quindi limitiamoci a dire.
Naturalmente,
tenendo ben presente che ogni testamento, ultima lettera, frase
postrema, volontà postuma, è un terreno di coltura per il kitsch:
la piazzetta dove il moribondo si toglie l’ultima cazzimma, lancia
un monito ridicolo, perdona a buon mercato (salvo, in caso di
guarigione, revocare un perdono che a posteriori, alla lunga, appare
un
po’ troppo generoso).
Da
quella piazzetta, poi del resto, nessuno passa mai più. Proviamo a
evitare, allora, anche se c’è qualche parola che vorrei comunque
lasciare soprattutto a Elena e Olga.
Inizio
con un’avvertenza: non voglio che le mie figlie mi vedano ora,
«cucito nella pelle di morto, orrenda e senz’occhi, che è ancora
una parte della persona ed e già estranea; la sacca da viaggio della
vita». Quindi se in questo momento state un po’ alla larga, pulci,
avete tutta la mia benedizione, per quel che vale.
Spero
di avervi infilato nel cuore almeno il seme della curiosità. Magari
in forme diverse: per esempio potrebbe essere in forma di narrazione
nel cuore di Elena e di vagabondaggio in quello di Olga. E vorrei che
quel seme continuasse a germogliare, per tutto il tempo che avrete in
terra (e oltre, ma chissà): proprio come ho visto che accadeva nella
prima parte delle vostre vite. Fin troppo facile dire ora che non c’è
tempo, che bisogna fare le cose che si vogliono fare e non rimandare,
che tutto corre più in fretta di noi. Facile e inutile, dato che
probabilmente è un messaggio che ogni genitore lascia al figlio, che
il figlio archivia come è giusto e poi riscopre quando è il suo
tempo, a valle di tanta vita che avrà sprecato, e quando l’urgenza
sarà tutta e solo sua. Aggiungo però la certezza che – come mi
dicesti tu Elena, una sera in pizzeria, riempiendomi di orgoglio –
non è mai finita. Mai.
Non
pensate mai di essere arrivate alla forma definitiva: c’è sempre
almeno ancora una svolta imprevista, sempre. Se c’è un augurio che
posso farvi, allora, è di non cadere mai nella trappola della
rassegnazione e dell’accettazione: quasi sempre quella che si
presenta come «la vita com’è», secondo un’espressione cara ai
realisti (gente che in segreto ama la schiavitù), è una truffa. Si
può uscire, scartare, fare ancora un giro, magari due, magari di
più, e poi sorprendersi di come era facile e possibile quello che
sembrava impedito dalla logica ferrea di un mondo che ci mettiamo
addosso come una prigione ed è invece solo fantasia, malata fantasia
che si spaccia per realtà.
Potrei
dire con un’immagine che Olga capirà al volo, che c’è sempre
(in ogni momento, anche quando sembra essere già arrivata la fine)
una strada imprevista che parte dalla soglia e, in fondo alla strada,
un qualche Vianino dove la gente vive in un modo magari non più
perfetto della nostra cattività metropolitana, ma sicuramente
diverso, diverso.
Il
diverso esiste, anche nelle nostre vite, basta lasciarsi prendere,
non rinchiudersi per paura di affrontare il mondo. Aveva ragione il
filosofo che ci disse che il padrone è padrone perché ha messo in
gioco la sua vita e il servo è servo perché non lo ha fatto (la
dialettica poi rovescia e sorprende, ma da questo passo fondamentale,
e solo da questo, inizia). La vostra curiosità sarà, perdonatemi la
retorica, un modo per essere ancora un po’ vivo. (...)
Insomma,
la metterei cosi: quando vi trovate la strada fra i piedi, per
ingarbugliata che sia, lasciatela districare (come si districano le
pulci) e seguitela con fiducia. Secondo
me, meno volte direte «meglio di no», meglio sarà. (...) Spero
che vi troviate spesso un passo più in là di dove avreste pensato
di arrivare e che ancora più spesso vi trovino gli altri un passo a
lato rispetto a dove credevano di cogliervi. (...)
È
stata una vita bellissima, sempre, fino alla fine, soprattutto grazie
a voi. Quasi quasi mi faccio invidia da solo, e non vorrei cambiarla
con nessun’altra, e non dico per dire. Vorrei che dal mio penultimo
tratto vi arrivasse la tranquilla certezza che è un viaggio che può
essere fatto, anche questo senza sofferenza e anzi con curiosità. Si
può fare: tutto qui. (...) Vorrei
che teneste per nemica disprezzatissima l’ansia che fa rintanare, e
nello stesso conto teneste lontani il risparmiarsi, l’indifferenza
e il pregiudizio, anche piccolo, anche quotidiano, la mala parola e
quelle piccinerie che fanno da paesaggio sonoro alla prigionia di chi
vive nelle città: vorrei che gli altri fossero sempre per voi fonti
e sorprese incessanti (...)
La
mia vita è cambiata molte volte. Non sempre avrei voluto, in qualche
caso è stato anche un inferno. Ma il risultato alla fine è che ho
vissuto tantissime vite (più dei gatti) e tutte interessanti, anche
quelle che durante erano dolorosissime. Anche su di me non cedete al
pregiudizio. Il mio ruolo l’ho svolto, sempre, a fondo, e anche
spezzandomi la schiena quando è stato necessario. Non è questo il
punto da cui si possa mentire o accampare scuse: dico queste cose
perché le penso con convinzione fermissima e non chiedo altro
riconoscimento che il vostro.
La
vita è cambiata molte volte, quindi, ma voi conoscete bene il motto
che avrei voluto scolpirmi sulla lapide: «Se poteva restava». (...)
Ecco,
proprio da voi due ho imparato a ricordarmi sempre che si può
sfuggire a tutto, che niente è deciso e basta, che un’altra strada
c’è sempre. E per me è diventato un principio, che alla fine mi
ha scaldato la casa, le notti, i sogni, le sere e mi ha tenuto attivo
e in vita alla faccia di una malattia che avrebbe preteso che mi
occupassi di lei più che di me. Mi avete regalato anni di vita che
sono stati (e qualunque medico ve lo confermerà) puro miracolo. (...)
Mi
mancherete. O forse no, se riesco a vagare un po’ da fantasma.
Infesterò le mie case senz’altro, ma spero mi lascino anche girare
un po’, non riesco proprio a farne a meno. Per esempio, aspetta un
po’, vado solo a vedere cosa c’e dietro la curva…
Luca
Rastello,
un
estratto da Dopodomani
non ci sarà.
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