martedì 31 luglio 2018

L' Elettricista




Storia di Giorgio Coda, lo psichiatra che torturò bambini, malati, omossessuali e tossicodipendenti con l’elettroshock fino al 1970


"Il Coda mi fece denudare e mi praticò un elettromassaggio pubico, che mi procurò grande sofferenza e la perdita di feci e urina. Quando venni riportato nella mia sezione, debbo dire che a causa dello spasimo provocato dall'elettromassaggio e avendo perso la gomma che tenevo in bocca mi ruppi tutti i denti.”
Così Giovanni, uno dei pazienti del “dottor” Giorgio Coda raccontò in una testimonianza uno dei tanti trattamenti con l’elettroshock che aveva subito nel corso della sua detenzione.
Una delle cinquemila sedute di “elettromassaggi” che lo psichiatra praticò nel manicomio di Collegno, del quale era vicedirettore, nella struttura per minori di Villa Azzurra, e in quella Grugliasco. I trattamenti prevedevano continue e violentissime scariche elettriche ai genitali o alla testa dei pazienti, che avevano come conseguenze terribili emicranie, cardiopatie, perdite di coscienza, danni neurologici, epilessia, lesione ai nervi ottici e decessi.
Ad eseguirli, con l’aiuto di alcuni infermieri, sempre lui, il professore, stimato nell’ambiente, blandito dalle istituzioni e invitato a numerose conferenze. Tra le sue povere vittime bambini, persone sole, malati fisici e psichiatrici, alcolisti, tossicodipendenti, ma anche semplici poveracci. Molti accomunati da una condizione di marginalità sociale e isolamento che li rendeva vittime perfette dei suoi soprusi.
Nelle pratiche del dottor Coda, esperto di antropologia criminale, non c’era alcun fine curativo, come confermerà la sentenza del processo che lo vedrà imputato. Per “l’elettricista”, come verrà soprannominato dalla stampa, i pazienti non erano individui da aiutare, sostenere, curare. Erano semplicemente dei residui d’umanità, sui quali si potevano esercitare le peggiori nefandezze. Nefandezze che continuarono per diversi anni finché nel 1970 l’ Associazione per la lotta contro le malattie mentali inviò alla procura di Torino un esposto in cui erano raccolte precise accuse e numerose testimonianze, e pubblicò il libro di denuncia “La fabbrica della follia”.
Il 12 luglio I974 Giorgio Coda fu condannato dal tribunale Torino a cinque anni di prigione e interdizione perpetua dai pubblici uffici per i maltrattamenti inflitti ai suoi pazienti. Nonostante i crimini commessi tuttavia presto poté tornare ad esercitare privatamente la professione di medico.
Il cosiddetto caso Coda fu determinante nell’accendere i riflettori sulle terribili violenze che venivano praticate in diverse strutture manicomiali, contribuendo alla crescita di quel movimento guidato da Franco Basaglia che avrebbe portato ad una totale riforma, purtroppo mai completata, del mondo psichiatrico in Italia. 
 







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