Una
disgrazia, e sia pure la più terribile, non ci autorizza certo a
falsare la testa, a falsare il mondo, a falsare tutto, in breve, a
far causa comune con l’ipocrisia. Di certi defunti, che da vivi
tutti trovavano disgustosi e ripugnanti, mi è capitato spesso di
sentir parlare, d’improvviso, come se nella loro vita non fossero
mai stati disgustosi o ripugnanti. Queste mancanze di gusto le ho
sempre trovate imbarazzanti. La morte di un uomo non lo trasforma in
un altro, non fa di lui un carattere migliore, non fa di lui un genio
se è stato un imbecille, o un santo se da vivo era un mostro. A una
tale sciagura dobbiamo resistere secondo natura, sopportarla con
tutti i suoi orrori, anche con la certezza che essa non ha cambiato,
nella loro immagine veritiera, le persone che in essa hanno perduto
la vita. Di un morto non si deve parlar male, dice la gente, è
un’opinione ipocrita e falsa. Come posso, di un uomo che da vivo è
sempre stato orrendo, che in tutto e per tutto è stato orrendo, che
è sempre stato in tutto e per tutto un carattere abietto, affermare
d’improvviso, dopo la sua morte, che non è stato un uomo orrendo,
un carattere abietto, ma d’un tratto un brav’uomo? A questa
mancanza di gusto assistiamo ogni giorno, quando uno muore. Così
come, alla morte di qualcuno, non dovremmo esitare a dire, questo
brav’uomo è morto, egualmente non dovremmo esitare a dire,
quest’uomo meschino, abietto è morto. È morto con tutti i suoi
errori, dovremmo dire, e con tutto ciò che aveva di bello, con tutto
ciò che aveva di sorprendente, in ogni caso. La morte non deve in
alcun modo correggere l’immagine che di un uomo ci siamo fatti. È
in noi così com’era, dovremmo dirci, e lasciarlo in pace.
Thomas Bernhard, Estinzione
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