mercoledì 25 luglio 2018

Estinzione




Una disgrazia, e sia pure la più terribile, non ci autorizza certo a falsare la testa, a falsare il mondo, a falsare tutto, in breve, a far causa comune con l’ipocrisia. Di certi defunti, che da vivi tutti trovavano disgustosi e ripugnanti, mi è capitato spesso di sentir parlare, d’improvviso, come se nella loro vita non fossero mai stati disgustosi o ripugnanti. Queste mancanze di gusto le ho sempre trovate imbarazzanti. La morte di un uomo non lo trasforma in un altro, non fa di lui un carattere migliore, non fa di lui un genio se è stato un imbecille, o un santo se da vivo era un mostro. A una tale sciagura dobbiamo resistere secondo natura, sopportarla con tutti i suoi orrori, anche con la certezza che essa non ha cambiato, nella loro immagine veritiera, le persone che in essa hanno perduto la vita. Di un morto non si deve parlar male, dice la gente, è un’opinione ipocrita e falsa. Come posso, di un uomo che da vivo è sempre stato orrendo, che in tutto e per tutto è stato orrendo, che è sempre stato in tutto e per tutto un carattere abietto, affermare d’improvviso, dopo la sua morte, che non è stato un uomo orrendo, un carattere abietto, ma d’un tratto un brav’uomo? A questa mancanza di gusto assistiamo ogni giorno, quando uno muore. Così come, alla morte di qualcuno, non dovremmo esitare a dire, questo brav’uomo è morto, egualmente non dovremmo esitare a dire, quest’uomo meschino, abietto è morto. È morto con tutti i suoi errori, dovremmo dire, e con tutto ciò che aveva di bello, con tutto ciò che aveva di sorprendente, in ogni caso. La morte non deve in alcun modo correggere l’immagine che di un uomo ci siamo fatti. È in noi così com’era, dovremmo dirci, e lasciarlo in pace.

Thomas Bernhard, Estinzione









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