Quando
si giunge al limite del monologo, ai confini della solitudine, si
inventa – in mancanza di altri interlocutori – Dio, supremo
pretesto di dialogo. Finché Lo nominate, la vostra demenza è ben
mascherata e… tutto vi è permesso. Il vero credente si distingue a
malapena dal folle: ma la sua follia è legale, è ammessa; se le sue
aberrazioni fossero scevre di qualsiasi fede egli finirebbe in un
manicomio. Ma Dio le copre, le rende legittime.
(…)
Chiunque
non accetti la proprio nullità è un malato di mente. E il credente
è il meno disposto di tutti ad accettarla. La volontà di durare,
spinta fino a questo punto, mi spaventa. Mi sottraggo alla seduzione
di un io indefinito. Voglio sguazzare nella mia mortalità. Voglio
restare normale.
(Signore,
datemi la facoltà di non pregare mai, risparmiatemi l’insania di
qualsiasi adorazione, allontanate da me quella tentazione d’amore
che mi consegnerebbe per sempre a voi. Possa stendersi il vuoto fra
il mio cuore e il cielo! Non auspico affatto che i miei deserti siano
popolati dalla vostra presenza, le mie notti tiranneggiate dalla
vostra luce, le mie Siberie fuse sotto il vostro sole. Più solo di
voi, voglio che le mie mani siano pure, al contrario delle vostre che
si lordarono per sempre impastando la terra e immischiandosi nelle
cose del mondo. Alla vostra insulsa onnipotenza non chiedo altro che
il rispetto della mia solitudine e dei miei tormenti. Non so che
farmene delle vostre parole; e temo la follia che me le farebbe
udire. Dispensatemi il miracoloso raccoglimento che precedette il
primo istante, la pace che non poteste tollerare e che vi incitò a
praticare una breccia nel nulla per aprirvi questa fiera dei tempi, e
per condannarmi così all’universo – all’umiliazione e alla
vergogna di essere).
Emil Cioran,
L'arroganza
della preghiera, da Sommario
di decomposizione
(1949)
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