giovedì 31 gennaio 2019

Hubb










Parole



Senti dire ogni tanto da qualcuno: “Non ci sono parole”.
Tu sai invece che ci sono e gli vorresti dire di non rassegnarsi e di cercarle, perché sono alla portata e pronte alla più alta definizione di quello che si vorrebbe dire.
In letteratura non esiste l’indescrivibile.

Erri De Luca, Il giro dell’oca













mercoledì 30 gennaio 2019

sabato 26 gennaio 2019

venerdì 25 gennaio 2019

Insetti e clima




Clima, gli insetti stanno morendo. La fine del mondo è già iniziata


Un articolo pubblicato il 15 gennaio sul quotidiano inglese The Guardian (passato ovviamente inosservato nei nostri organi di disinformazione, concentrati su ben altri problemi) dovrebbe farci molto riflettere. L’articolo riportava i risultati del viaggio fatto l’anno scorso dallo scienziato Brad Lister nella foresta pluviale portoricana di Sierra de Luquillo, a 35 anni dalla sua prima esplorazione. Ebbene, Lister ha scoperto che in quel remoto angolo del mondo il 98% degli insetti terrestri era scomparso.
La notizia è tanto più clamorosa se si pensa che tale foresta pluviale è un parco nazionale, e quindi protetta da interventi umani, quantomeno diretti. Queste le sue parole: “Si è verificato un vero collasso delle popolazioni di insetti in quella foresta pluviale. Abbiamo iniziato a capire che questo è terribile, che è molto, molto inquietante”. Certo, inquietante anche perché, come noto, gli insetti sono alla base della catena alimentare. Ragion per cui nella foresta anche le rane e gli uccelli sono diminuiti contemporaneamente di circa il 50-65%.
La notizia è tanto più sconcertante se si pensa che i dati sono relativi a un’area protetta. Se ne può facilmente evincere che dove la natura non è protetta la situazione sia ben più grave. Del resto, basti pensare che ad esempio in Europa le farfalle sono diminuite del 50% in 20 anni… Quale la causa della drastica diminuzione? Le alterazioni degli ecosistemi e il riscaldamento climatico.
Il filosofo inglese Timothy Morton definisce il riscaldamento globale un “iperoggetto”, ossia un oggetto che sfugge alla nostra reale percezione, ma in cui trascorriamo la nostra vita. Anzi, il riscaldamento globale è l’iperoggetto per eccellenza. Un iperoggetto di cui non comprendiamo la valenza e la gravità. Quindi ci comportiamo come se non esistesse. Riguarda tutti gli esseri umani da vicino, è connesso a tutte le nostre attività e agli oggetti con cui abbiamo a che fare, eppure è percepito come lontanissimo.
Morton ne trae la conclusione che la fine del mondo almeno per l’uomo sia già iniziata. Iniziò con l’Antropocene e si sta concretizzando velocemente. Del resto, la storia dimostra che le estinzioni non avvengono sempre per un evento improvviso (il meteorite dei dinosauri), ma si consumano nel tempo. Avrà ragione lui? Chissà, forse sì, a giudicare da quello che accade in una sperduta foresta pluviale di Porto Rico.







Deport























mercoledì 23 gennaio 2019

Allenarsi a ricordare




Bisognerebbe adesso darsi delle regole, 
ricordarsi di essere uomini, 
fermarsi e ridere
così tornare a dare credito agli stimoli, 
allenarsi sulla pertica ad avere i brividi
Bisognerebbe rilassare tutti i muscoli, 
saltare qualche virgola, buttarsi un po' di più
e poi provare ad alleggerire il carico 
buttando a mare secoli di solitudine

Bisognerebbe non dormire sugli spigoli 
e in barba anche alla fisica 
pensare a testa in giù
rifiutare di esser competitivi al massimo 
per avere un certo credito, una personalità
e non fidarsi degli esperti in ogni genere 
che sanno come muoversi 
rispetto alla realtà
che spesso poi fan schifo a vivere, 
non riescono ad ammetterlo 
e si piacciono moltissimo così

Qualcosa come innamorarsi a Napoli sotto le nuvole volate via
lasciarsi in faccia ad un tramonto storico 
spuntato a Rimini al binario tre
È un occasione per sentirsi uomini 
capaci ancora di sorprendersi
per poi pensare sulla scala mobile 
che è bello vivere, ed è così…

Bisognerebbe dare al fegato un motivo per contorcersi 
e non perdere la sua elasticità
non stare lì ad accontentarsi degli spiccioli
gli spiccioli dell'anima del cuore e delle idee,
ma accumulare capitali a passi piccoli 
fatti di ricordi che non dicono bugie,
condizionati dagli anticipi e i ritardi 
che ci cullano a miliardi 
verso la felicità

Bisognerebbe grattuggiare tutti gli angoli 
e finalmente sferici, opplà, buttarsi giù
rotolare in una corsa inarrestabile, 
una cosa da vertigine, a sfidar la gravità
Frenare solo un metro prima di cadere giù dal mondo 
alzarsi in piedi e di colpo lì per lì
illuminarsi di un amore che era scritto non so dove
non so come sia arrivato fino qui

Qualcosa come innamorarsi a Napoli sotto le nuvole volate via
lasciarsi in faccia ad un tramonto storico 
spuntato a Rimini al binario tre
È un occasione per sentirsi uomini 
capaci ancora di sorprendersi
per poi pensare sulla scala mobile 
che è bello vivere
ed è così…







Compassione




Si dice che l'insegnamento del Buddha sia un uccello: un'ala è la saggezza, l'altra è la compassione.
Compassione è una parola chiave dell'arte di risvegliarsi, apre le porte del cuore, lo dissoda, lo innaffia e lo invita a fiorire.
Co
me tutte le parole incrostate di idealizzazioni va spolverata, lavata a fondo, rimessa al sole del mondo perché si asciughi bene dalle lacrime della commiserazione,  dell'attenzione esclusiva al dolore della condizione umana.
In sanscrito e in pali si chiama karuna e alla lettera significa "provare un tremito del cuore in risposta alla sofferenza di un essere". Ma chi non prova alcun tremito per la propria sofferenza, chi non si accoglie, non si custodisce quando soffre, è impossibile che possa sentire vera compassione per la sofferenza di un altro. Altrimenti, è solo una virtù artefatta interpretata con esaltazione o con sforzo che sfocia in un violento tagliar fuori se stessi e imporsi pietosi e invadenti all' altro, senza il sacro rispetto per i confini, le differenze, i percorsi: è senza corpo. Si può diventare molto presenti quando un altro soffre, pronti, efficienti, assidui e poi abbandonarlo appena sta bene, invidiarlo o ignorarlo se è felice.
Sento che è indispensabile affiancare alla pratica della compassione quella di mudita, la gioia per la gioia dell'altro, molto poco nota e di cui avremmo così tanto bisogno per curare le nascostissime ferite dell'invidia e della gelosia, che hanno invece tanto bisogno di venire alla luce, di essere viste e accolte per non essere agite mascherate da tutt'altro.
Ogni pratica che riguardi il sentire e i sentimenti è rischiosa, perché può indurci a falsare quello che sentiamo e a mascherarlo con la sua complementare virtù. Se si chiamano "pratiche" significa che partiamo da un non-sapere, un non essere già buoni, giusti, veri e che ci vuole un apprendistato per risvegliare in noi qualità nascoste e originali. Si parte da dove siamo -onestamen
te- scoprendo i nostri angoli bui: l'indifferenza, la crudeltà, l'onnipotenza, il voler far passare all'altro il male al più presto, il togliergli la dignità della ferita e la possibilità di trovare i suoi personali strumenti di risposta giusta e di guarigione.

Chandra Livia Candiani, Il silenzio è cosa viva (L'arte della meditazione)









martedì 22 gennaio 2019

lunedì 21 gennaio 2019

Meditare




Meditare è seguire i movimenti della nostra mente smettendo di affaccendarci in azioni, pensieri, preoccupazioni per il futuro, ricordi del passato. Meditare non è fare il vuoto intorno a noi. Anzi: è non separare i mondi, non dividere quel che consideriamo spirituale da quel che riteniamo ordinario. E i gesti quotidiani di cucinare, lavare i piatti, telefonare, pulire, leggere possono diventare forme di preghiera. È insomma stare dentro noi stessi, dentro tutto ciò che siamo in quel momento, consapevolmente. Spesso si pensa che la soluzione al dolore e all’ansia sia altrove, ma è nel dolore la soluzione del dolore (e nell’ansia la soluzione dell’ansia). Sentendolo, abitandolo, assaporandolo, non è piú un estraneo, ma a poco a poco un ospite scomodo, irruente, tempestoso e infine un pezzo di noi. Lasciare spazio intorno ai gesti ordinari, dargli una stanza, li fa brillare, permette che aprano un varco nell’oscurità in cui di solito viviamo, nel nostro quotidiano sonno. Allora, pian piano, si ricevono le visite della consapevolezza: sono i miracoli del noto.

Chandra Livia Candiani, Il silenzio è cosa viva (L'arte della meditazione)









 









venerdì 18 gennaio 2019

Silenzi



Non tutti i silenzi sono uguali. Come, grazie alla consapevolezza del vivere, si diventa sensibili alla luce, alle diverse sfumature di luce in diversi luoghi, in differenti momenti della giornata e delle stagioni, cosí si colgono miriadi di sfumature nei silenzi nostri e altrui, silenzi umani, silenzi degli animali, degli alberi, silenzi minerali.
Il silenzio non è tacere né mettere a tacere, è un invito, è stare in compagnia di qualcosa di tenero e avvolgente, dove tutto è già stato detto. Il silenzio sorride.
Caro silenzio, aiutami a non parlare di te, aiutami ad abitarti. Addestrami. Disarmami. Tu mi insegni a parlare. Eccomi, mi lascio rapire. Non lascio niente a casa, niente di intentato. Ci sono. In te. Arte del congedo per ritrovare. Arte dell’a-capo che insegna a lasciarsi scrivere. 
Il silenzio semina. Le parole raccolgono.
Il silenzio è cosa viva.

Chandra Livia Candiani, Il silenzio è cosa viva (L'arte della meditazione)


 







Sonno



Durante lo stato di veglia il cervello è predisposto al meglio per raccogliere gli stimoli esterni; durante il sonno consolida le informazioni. Non ci limitiamo ad archiviare meccanicamente i pensieri: durante il sonno il cervello decide accuratamente quali ricordi conservare e quali eliminare. La scelta non è necessariamente saggia. 
Il sonno rafforza così tanto i ricordi – non solo nello stadio 2, che occupa quasi la metà del tempo in cui si dorme, ma durante tutto il viaggio notturno – che sarebbe meglio, per esempio, che i soldati tornati esausti e sconvolti da una missione non andassero direttamente a dormire. Secondo Gina Poe, esperta di neuroscienze, per prevenire il disturbo da stress post-traumatico dovrebbero rimanere svegli per altre sei-otto ore. 
Gli studi condotti da Poe e altri scienziati indicano che dormendo subito dopo un evento importante, prima che il dramma sia risolto a livello mentale, è più probabile che l'esperienza si trasformi in ricordi a lungo termine.

Michael Finkel, National Geographic, agosto 2018
















martedì 15 gennaio 2019

Già



Se ne stava seduto nella veranda davanti a casa, sorseggiando la birra e stringendo la mano della moglie. Il fatto era che stava morendo. E’ di questo che parlavano. Prima della fine dell’estate sarebbe morto. Entro l’inizio di settembre quel che restava di lui sarebbe stato ricoperto di terra nel cimitero tre miglia a ovest della città. Qualcuno avrebbe scolpito il suo nome su una pietra tombale e sarebbe stato come se lui non fosse mai esistito.


Lo aiutarono a trasferirsi in veranda e rimasero a guardare la pioggia che cadeva sull’erba e sulla ghiaia che ricopriva la strada. Nei punti più bassi si erano già formate delle pozzanghere e i pioppi argentati erano scuri e grondavano acqua. Lorraine sporse una mano nella pioggia e si picchettò la faccia, poi mise le mani a coppa per raccogliere l’acqua che cadeva dalla grondaia e la appoggiò sul volto di Dad. Lui rimase lì, tenendosi al bastone, con il viso che gocciolava. Lo fissarono, lui guardò dritto oltre il prato, al di là della recinzione di ferro, al di là della strada bagnata, fino al terreno adiacente, pensando a qualcosa. Non ha un buon odore? disse Mary. Già, rispose lui piano. Aveva gli occhi umidi, ma gli altri non avrebbero saputo dire se di lacrime o di pioggia.

Kent Haruf, Benedizione



 
















lunedì 14 gennaio 2019

Benedizione




Nella cittadina di Holt, in Colorado, il pastore Lyle si appresta a pronunciare il suo sermone.
Ma a voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano. A chi ti percuote sulla guancia, porgi anche l’altra; a chi ti leva il mantello, non rifiutare la tunica. Se amate quelli che vi amano, perché dovreste essere benedetti? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se fate del bene a coloro che vi fanno del bene, perché dovreste essere benedetti?
……
Ma cosa ci sta dicendo Gesù Cristo? Non lo si può certo prendere alla lettera. Sarebbe impossibile. Di sicuro sta parlando di qualche idea utopica, di una fantasia. Sta certamente usando una metafora. Suggerendo un bel sogno. Perché tutti noi qui, oggi, lo sappiamo bene. Viviamo nella realtà e sappiamo che il mondo non consentirebbe una cosa del genere. Non lo ha mai fatto e non lo farà mai. Dobbiamo dirlo forte e chiaro.
Perché siamo di nuovo in guerra. E conosciamo bene le inevitabili immagini della guerra e della violenza. Le abbiamo viste fin troppo spesso.
La ragazzina nuda che corre terrorizzata verso di noi, piangendo e urlando, in fuga dal fuoco alle sue spalle.
Il bambino nella stanza d’ospedale con il fratellino e la madre atterrita. È stato accecato, ha il volto pieno di cicatrici. Sono diventato brutto, mamma? Sta dicendo.
Vediamo le immagini del corpo decapitato e abbandonato sul ciglio di una strada.
Abbiamo visto il soldato, quella cosa grottesca, rigida e nera che un tempo era un uomo, carbonizzato e legato dietro un camion che lo trascina per le strade.
Abbiamo guardato con orrore le figure umane che saltano giù dalle finestre delle torri in fiamme.
E per questo conosciamo la soddisfazione dell’odio. Conosciamo il dolce piacere della rappresaglia. Come ci si sente bene quando ci si vendica. Certo quella di Gesù era una buona idea. Un bel concetto, ma non si può amare chi fa del male. Non è sensato né realistico. Non è saggio che il mondo ami delle persone che compiono terribili ingiustizie. Non c’è modo di amare i nostri nemici. Servirebbe solo a spingerli a commettere azioni ancor più odiose e malvagie. O peggio, potrebbero pensare di farla franca, perché ci riterrebbero deboli e spaventati. E allora dove andremo a finire?

Ma ciò che voglio dirvi ora, qui a Holt, in questa calda mattinata di giugno, è questo: forse Gesù non stava scherzando. Forse non stava parlando di un’isola che non c’è. Magari pensava davvero le cose che ha detto duemila anni fa. Magari era pienamente consapevole di come va il mondo e conosceva di persona la crudeltà e la cattiveria, il male e l’odio. Li conosceva così bene per esperienza personale, diretta. Porgete l’altra guancia. Pregate per coloro che vi maltrattano. Forse intendeva dire proprio quello che ha detto, parola per parola. E allora, dove andremo a finire?
E se ci provassimo? E se dicessimo ai nostri nemici: siamo la nazione più potente della terra. Possiamo distruggervi. Possiamo uccidere i vostri bambini. Possiamo trasformare le vostre città e i vostri paesi in un ammasso di rovine, e quando avremo finito non riuscirete più nemmeno a ricordare come erano prima. Abbiamo il potere di togliervi l’acqua e prosciugare la vostra terra, di privarvi delle basi dell’esistenza. Possiamo trasformare il giorno in notte. Possiamo farvi tutto questo. E molto altro.
Ma se invece dicessimo: state a sentire, invece di fare queste cose, vogliamo farvi dei doni, di nostra iniziativa, con generosità. Tutto il denaro pubblico degli Stati Uniti, tutto l’impegno e le vite umane che avremmo impiegato per distruggere, vogliamo impiegarli per creare. Vogliamo riparare le vostre strade e autostrade, migliorare le vostre scuole, rendere efficienti i vostri pozzi e i vostri acquedotti, preservare i vostri tesori, la vostra arte e la vostra cultura, proteggere i vostri templi e moschee. In pratica, vogliamo amarvi.
Qui però venne interrotto bruscamente. Qualche fedele si era messo a parlare. Sei pazzo? Devi essere demente! Una voce maschile. Profonda. Arrabbiata. Forte. Proveniva dal lato della chiesa vicino alle finestre. Hai dei problemi? Sei fuori di testa?

Kent Haruf, Benedizione



 


domenica 13 gennaio 2019

Starlings