Foto:
Paul
Brouns
lunedì 29 febbraio 2016
sabato 27 febbraio 2016
Simpatia
Non
ha mai avuto tutt’a un tratto bisogno di simpatia, di aiuto, di
amicizia? Certamente sì. Io ho imparato ad accontentarmi della
simpatia. Si trova con maggior facilità, e poi non impegna. “Creda
alla mia simpatia”, nell’intimo precede immediatamente “ed ora
occupiamoci d’altro”. È un sentimento da presidente del
consiglio: lo si ottiene a buon mercato dopo le catastrofi.
L’amicizia è una cosa meno semplice. È lunga e difficile da
ottenere, ma quando la si ha, non c’è più mondo di liberarsene,
bisogna far fronte. Soprattutto non creda che gli amici telefonino
ogni sera, come dovrebbero, per sapere se non è proprio quella la
sera in cui uno ha deciso di uccidersi, o più semplicemente se ha
bisogno di compagnia, se è disposto ad uscire. Ma no, se telefonano,
stia tranquillo, sarà la sera in cui non si è soli e la vita è
bella. Al suicidio magari vi ci spingono, in nome di ciò che,
secondo loro, uno deve a se stesso. Caro signore, ci salvi il cielo
dall’essere collocati troppo in alto dai nostri amici! Quanto a
loro che avrebbero il compito di amarci, voglio dire i parenti ed i
congiunti (che modo d’esprimersi!), è un’altra faccenda. Sanno
la parola che ci vuole, ma è una parola proiettile; telefonano come
si tira al bersaglio. E mirano giusto, i traditori!
Albert
Camus, La caduta
venerdì 19 febbraio 2016
Morire per delle idee
Mi
basta sentire qualcuno parlare sinceramente di ideale, di avvenire,
di filosofia, sentirlo dire "noi" con tono risoluto,
invocare gli "altri" e ritenersene l'interprete - perchè
io lo consideri mio nemico. Scorgo in lui un tiranno mancato, un
carnefice approssimativo, detestabile quanto i tiranni e i carnefici
di gran classe. Il fatto è che ogni fede esercita una forma di
terrore, tanto più spaventosa quando ne sono i fautori i "puri".
Si diffida dei furbi, delle canaglie, dei cialtroni; tuttavia non si
può imputar loro nessuna delle grandi convulsioni
della storia; non credendo in nulla, essi non frugano nei vostri
cuori, e neanche nei vostri pensieri riposti; vi abbandonano alla
vostra indifferenza, alla vostra disperazione o alla vostra
inutilità; l'umanità deve loro i pochi momenti di prosperità che
ha conosciuto: sono loro a salvare i popoli che i fanatici torturano
e gli "idealisti" rovinano. Privi di dottrina, essi hanno
soltanto capricci e interessi, vizi accomodanti, mille volte più
sopportabili delle devastazioni provocate dal dispotismo che
sbandiera princìpi: giacchè tutti i mali della vita derivano da una
"concezione della vita". Un uomo politico perfetto dovrebbe
studiare a fondo i sofisti antichi e prendere lezioni di canto - e di
corruzione…
Il
fanatico, invece, è incorruttibile: se per un'idea è capace di
uccidere, allo stesso modo può farsi uccidere per essa; in entrambi
i casi, sia egli tiranno o martire, è un mostro. Non esistono esseri
più pericolosi di quelli che hanno sofferto per una convinzione: i
grandi persecutori che reclutano tra i martiri ai quali non è stata
tagliata la testa. Lungi dal diminuire la brama di potenza, la
sofferenza la esaspera; perciò lo spirito si sente più a suo agio
in compagnia di un fanfarone che in quella di un martire; e niente
gli ripugna quanto lo spettacolo in cui qualcuno muoia per un'idea...
disgustato dal sublime e dalla carneficina, esso sogna una noia di
provincia su scala universale, una Storia il cui ristagno sia tale
che il dubbio vi si profili come un evento e la speranza come una
calamità...
Cioran, Sommario di decomposizione
giovedì 18 febbraio 2016
Un conservatore
Una
concezione abbastanza diffusa dell’universo sarebbe questa:
infinite nebulose, che si allontanano l’una dall’altra a notevole
velocità, e tra queste nebulose, sperduta nell’esplosione cosmica,
la nostra, detta Galassia. Questa Galassia gira su se stessa come un
disco piatto e contiene miliardi di stelle, tra le quali, per quanto
poco appariscente e lontano dal centro, il sole. E intorno a questo
sole girerebbe la terra. A me sembra ovvio invece che il sole non è
una stella ma è il sole, come chiunque può accertare da sé, e
appare ogni mattina dietro a quei colli, e ogni sera va giù dietro a
quegli altri: e che le stelle non sono che puntini luminosi, la prova
che si vedono solo di notte, e la galassia in questione deve essere
la luna che annuncia pioggia; quanto alle nebulose sono talmente
nebulose che appaiono solo nelle fotografie. Ora è un fatto
stabilito che non ci si può fidare molto delle fotografie del cielo,
di solito non portano nemmeno una traccia degli spiriti malvagi che
pure come tutti sanno riempiono gli spazi, dove non fanno altro che
chiamarci, chiamarci, offrendoci mille seduzioni: vorrebbero farci
lasciare questa solida terra, resa fertile dalle salme dei nostri
antenati, per il meschino gusto di vederci sprofondare nelle tenebre
vuote.
Purtroppo
ce ne sono molti, oggi, che desiderano sul serio lasciare la terra,
ingannati da una serie di illusioni ottiche, e anche di illusioni di
altro genere. Io invece ho deciso di fare, uno di questi giorni, un
giretto per il mio giardino, prendendo naturalmente ogni sorta di
precauzioni.
R.
Wilcock, Lo stereoscopio dei solitari
mercoledì 17 febbraio 2016
Libero pensiero
Io
penso a un universo infinito. Stimo infatti cosa indegna della
infinita potenza divina che, potendo creare oltre a questo mondo un
altro e altri ancora, infiniti, ne avesse prodotto uno solo, finito.
Così io ho parlato di infiniti mondi particolari simili alla Terra.
Giordano Bruno
martedì 16 febbraio 2016
Piccoli dispiaceri
Stanco?
ho chiesto.
Mostruosamente,
ha detto.
Si
è alzato per mettere un disco, ultimamente aveva il pallino del
vinile. Ne apprezzava la ritualità, la procedura. Teneva in mano il
disco come la gente tiene in mano i dischi, non con le dita, con i
palmi. Ci ha soffiato sopra. La musica era un sussurro leggero, una
chitarra acustica, niente voce. Si è riseduto al tavolo e mi ha
chiesto di guardargli gli occhi.
Spurgano,
ha detto. Come se avessi un’infezione o qualcosa del genere.
Congiuntivite?
ho chiesto.
Non
so, ha detto. Ho l’impressione che gocciolino di continuo. È solo
un liquido trasparente, niente pus. Mi sdraio a letto e tutto questo
liquido cola fuori di lato. Forse dovrei farmi vedere da un medico,
da un ottico o qualcosa del genere.
Stai
piangendo, Nic.
No…
Sì.
Lo chiamano piangere.
Ma
di continuo? ha chiesto. Se è così non me ne rendo neanche conto.
È
un nuovo tipo di pianto, dissi. Per i tempi nuovi.
Mi sono sporta in avanti e gli ho messo le mani sulle spalle e poi sui lati del viso allo stesso modo in cui lui aveva tenuto il disco.
Mi sono sporta in avanti e gli ho messo le mani sulle spalle e poi sui lati del viso allo stesso modo in cui lui aveva tenuto il disco.
Miriam
Toews, I miei piccoli dispiaceri
domenica 14 febbraio 2016
Spiriti solitari
Non
è parlando degli altri, ma curvandosi su di sé, che ci è possibile
incontrare la Verità. Perché ogni cammino che non conduce alla
nostra solitudine o non ne proceda, è deviazione, errore, perdita di
tempo.
E.M. Cioran, Quaderni
Parlare
Nella
scala delle creature, soltanto l’uomo ispira un disgusto costante.
La ripugnanza che provoca una bestia è passeggera, non matura in
alcun modo nel pensiero, mentre i nostri simili assillano le nostre
riflessioni, si infiltrano nel meccanismo del nostro distacco dal
mondo per confermarci nel nostro sistema di rifiuto e di non
adesione. Dopo ogni conversazione, la cui raffinatezza indica da sola
il livello di una civiltà, perché mai è impossibile non
rimpiangere il Sahara e non invidiare le piante o i monologhi
infiniti della zoologia?
Se con ogni nostra parola riportiamo una vittoria sul nulla, è solo per subirne ancor più il dominio. Noi moriamo in proporzione alle parole che spargiamo intorno a noi… Coloro che parlano non hanno segreti. E tutti noi parliamo. Ci tradiamo, esibiamo il nostro cuore; carnefice dell’indicibile, ognuno di noi si accanisce nella distruzione di tutti i misteri, a cominciare dai propri. E se ci incontriamo con gli altri, è per avvilirci insieme in una corsa verso il vuoto – che sia negli scambi di idee, nelle confessioni o negli intrighi. La curiosità non ha provocato soltanto la prima caduta, ma anche quelle innumerevoli di tutti i giorni. La vita non è altro che questa impazienza di decadere, di prostituire le solitudini verginali dell’anima mediante il dialogo, negazione immemoriale e quotidiana del paradiso. L’uomo dovrebbe ascoltare solo se stesso nell’estasi senza fine del verbo intrasmissibile, forgiarsi parole per i propri silenzi e accordi percettibili unicamente ai propri rimpianti. E invece è il chiacchierone dell’universo: parla a nome degli altri; il suo io ama il plurale. E chi parla a nome degli altri è sempre un impostore. I politici, i riformatori e tutti coloro che si appellano a un pretesto collettivo sono dei truffatori. L’unica menzogna che non sia totale è quella dell’artista, poiché egli non inventa che se stesso. Al di fuori dell’abbandono all’incomunicabile, della sospensione nel bel mezzo delle nostre emozioni sconsolate e mute, la vita non è che fragore su una distesa senza coordinate, e l’universo una geometria epilettica.
Se con ogni nostra parola riportiamo una vittoria sul nulla, è solo per subirne ancor più il dominio. Noi moriamo in proporzione alle parole che spargiamo intorno a noi… Coloro che parlano non hanno segreti. E tutti noi parliamo. Ci tradiamo, esibiamo il nostro cuore; carnefice dell’indicibile, ognuno di noi si accanisce nella distruzione di tutti i misteri, a cominciare dai propri. E se ci incontriamo con gli altri, è per avvilirci insieme in una corsa verso il vuoto – che sia negli scambi di idee, nelle confessioni o negli intrighi. La curiosità non ha provocato soltanto la prima caduta, ma anche quelle innumerevoli di tutti i giorni. La vita non è altro che questa impazienza di decadere, di prostituire le solitudini verginali dell’anima mediante il dialogo, negazione immemoriale e quotidiana del paradiso. L’uomo dovrebbe ascoltare solo se stesso nell’estasi senza fine del verbo intrasmissibile, forgiarsi parole per i propri silenzi e accordi percettibili unicamente ai propri rimpianti. E invece è il chiacchierone dell’universo: parla a nome degli altri; il suo io ama il plurale. E chi parla a nome degli altri è sempre un impostore. I politici, i riformatori e tutti coloro che si appellano a un pretesto collettivo sono dei truffatori. L’unica menzogna che non sia totale è quella dell’artista, poiché egli non inventa che se stesso. Al di fuori dell’abbandono all’incomunicabile, della sospensione nel bel mezzo delle nostre emozioni sconsolate e mute, la vita non è che fragore su una distesa senza coordinate, e l’universo una geometria epilettica.
Emil
Cioran, Sommario di decomposizione
giovedì 11 febbraio 2016
Un'altra vita / 1973 / Per sempre coinvolti
Storia di un impiegato, 1973
«Quando è uscito "Storia di un
impiegato" avrei voluto bruciarlo. Era la prima volta che mi
dichiaravo politicamente e so di aver usato un linguaggio troppo
oscuro, difficile. L'idea del disco era affascinante. Dare del
Sessantotto una lettura poetica, e invece è venuto fuori un disco
politico. E ho fatto l'unica cosa che non avrei mai voluto fare:
spiegare alla gente come comportarsi.»
Fabrizio De Andrè
Certo bisogna farne di strada
da una ginnastica d'obbedienza
fino ad un gesto molto più umano
che ti dia il senso della violenza
però bisogna farne altrettanta
per diventare così coglioni
da non riuscire più a capire
che non ci sono poteri buoni,
da non riuscire più a capire
che non ci sono poteri buoni.
E adesso imparo un sacco di cose
in mezzo agli altri vestiti uguali
tranne qual'è il crimine giusto
per non passare da criminali.
C'hanno insegnato la meraviglia
verso la gente che ruba il pane
ora sappiamo che è un delitto
il non rubare quando si ha fame,
ora sappiamo che è un delitto
il non rubare quando si ha fame.
Per
quanto voi vi crediate assolti
siete per sempre coinvolti...
siete per sempre coinvolti...
JRW / 3
Gli Amanti
Harux
e Harix hanno deciso di non alzarsi più dal letto: si amano
follemente, e non possono allontanarsi l’uno dall’altro più di
sessanta, settanta centimetri. Tanto vale allora rimanere a letto,
lontano dai richiami del mondo. C’è tuttavia il telefono, sul
tavolino da notte, che a volte strilla interrompendo i loro
amplessi: sono i parenti che chiamano per sapere se tutto va bene.
Ma anche queste telefonate familiari si fanno sempre più rare e
laconiche. Gli amanti si alzano soltanto per andare al gabinetto, e
non sempre; il letto è ormai tutto disfatto, i lenzuoli
stropicciati, ma loro non se ne accorgono, ciascuno immerso
nell’onda azzurra degli occhi dell’altro, le loro membra
misticamente allacciate.
La
prima settimana si sono alimentati di biscotti, ne avevano infatti
provviste abbondanti. Finiti i biscotti, ora si mangiano a vicenda.
Anestetizzati dal desiderio, si strappano grossi pezzi di carne con
i denti, tra due baci si divorano il naso o il dito mignolo, si
bevono l’un l’altro il sangue; poi, sazi, fanno di nuovo
l’amore, come possono, e si addormentano per ricominciare quando
si svegliano.
Hanno
perso il conto dei giorni e delle ore. Non sono belli a vedersi,
certo, insanguinati, dilaniati, appiccicosi; ma il loro amore è al
di sopra delle convenzioni.
R.
Wilcock, da Lo stereoscopio dei solitari
JRW / 2
A
Haut-les-Aigues, in un angolo del Giura vicino alla frontiera
svizzera, il dottor Alfred Attendu dirigeva il suo panoramico
Sanatorio di Rieducazione ossia ospizio di cretini.
[…] Isolato, dimenticato, autosufficiente, abbondantemente rifornito di rieducandi, misteriosamente risparmiato da qualsiasi invadenza teutonica, grazie anche allo stato disastrato dell’unica strada di accesso ridotta in brandelli da un disguido bombardamentale (i tedeschi avevano creduto che la strada conducesse in Svizzera, per via di una freccia con la scritta «Rifugio di Deficienti»); insomma, re del suo piccolo regno di scemi, Attendu si permise per tutti quegli anni di ignorare ciò che i giornali pomposamente chiamavano il crollo di un mondo, ma che in realtà, visto dall’alto della Storia, o in ogni caso dall’alto del Giura, non fu che un doppio cambio di polizie con qualche incidente di assestamento.
Già dal titolo del libro di Attendu trapela la sua tesi, e cioé che in ogni sua funzione e attività non necessaria alla vita vegetativa, il cervello è una fonte di fastidi. Per secoli, l’opinione corrente ha ritenuto che l’idiozia sia nell’uomo un sintomo di degenerazione; Attendu ribalta il secolare pregiudizio e afferma che l’idiota altro non è che il prototipo umano primitivo, di cui siamo soltanto la versione corrotta, e perciò soggetta a disturbi, a passioni e a smanie contro natura, che al vero cretino, al puro, sono felicemente risparmiati.
[…] Isolato, dimenticato, autosufficiente, abbondantemente rifornito di rieducandi, misteriosamente risparmiato da qualsiasi invadenza teutonica, grazie anche allo stato disastrato dell’unica strada di accesso ridotta in brandelli da un disguido bombardamentale (i tedeschi avevano creduto che la strada conducesse in Svizzera, per via di una freccia con la scritta «Rifugio di Deficienti»); insomma, re del suo piccolo regno di scemi, Attendu si permise per tutti quegli anni di ignorare ciò che i giornali pomposamente chiamavano il crollo di un mondo, ma che in realtà, visto dall’alto della Storia, o in ogni caso dall’alto del Giura, non fu che un doppio cambio di polizie con qualche incidente di assestamento.
Già dal titolo del libro di Attendu trapela la sua tesi, e cioé che in ogni sua funzione e attività non necessaria alla vita vegetativa, il cervello è una fonte di fastidi. Per secoli, l’opinione corrente ha ritenuto che l’idiozia sia nell’uomo un sintomo di degenerazione; Attendu ribalta il secolare pregiudizio e afferma che l’idiota altro non è che il prototipo umano primitivo, di cui siamo soltanto la versione corrotta, e perciò soggetta a disturbi, a passioni e a smanie contro natura, che al vero cretino, al puro, sono felicemente risparmiati.
J.R.Wilcock,
La sinagoga degli iconoclasti, 1972
martedì 9 febbraio 2016
JRW
Non
si contano quasi le coppie che in questo momento sono occupate nel
mondo a insegnare a parlare a un bambino; riguardevole è pure il
numero di coppie occupate a fare la stessa cosa con uno scimpanzè. In
genere senza successo, perché gli scimpanzè normalmente non
parlano; ma molti di loro pare stiano sempre sul punto di dire
qualcosa, e così mantengono sveglio l’interesse. Come i nostri
migliori romanzieri, i quali sempre pare stiano, come gli scimpanzè,
sul punto di dire qualcosa.
Il
tentativo più riuscito, nel campo degli scimpanzè – del campo
romanzieri non si hanno notizie sufficienti –, è stato quello di
Keith J. Hayes e Cathy Hayes, presso il laboratorio Yerkes di
biologia dei primati. Dopo un lungo apprendistato, il loro primate si
è dimostrato in grado di dire quattro parole: «mama» (mamma),
«papa» (babbo), «cup» (tazza) e «up» (su).
Purtroppo queste parole la scimmia – come i nostri romanzieri il loro messaggio di impegno – le dice in un roco sussurro e quasi sempre a sproposito; quest’ultimo particolare è tuttavia da considerare con attenzione, da giudicare in sospeso, dal momento che nessuno sta nella testa dello scimpanzé per sapere se quando dice «su» vuol dire davvero «su» o qualcos’altro. Lo stesso vale d’altronde per tutti i primati parlanti che conosciamo e frequentiamo, romanzieri inclusi.
Purtroppo queste parole la scimmia – come i nostri romanzieri il loro messaggio di impegno – le dice in un roco sussurro e quasi sempre a sproposito; quest’ultimo particolare è tuttavia da considerare con attenzione, da giudicare in sospeso, dal momento che nessuno sta nella testa dello scimpanzé per sapere se quando dice «su» vuol dire davvero «su» o qualcos’altro. Lo stesso vale d’altronde per tutti i primati parlanti che conosciamo e frequentiamo, romanzieri inclusi.
J.
Rodolfo Wilcock, Il reato di scrivere
lunedì 8 febbraio 2016
Talenti
"Sa
qual è uno dei talenti più spiccati della storia dei napoletani,
Presidente?
"L'alleggerimento
ironico dei guai?" "No. E' la lamentazione. Nell'arco
di centinaia di anni Napoli ha elaborato una raffinatissima strategia
della lamentazione. Per ellenizzare potrei dire che laggiù abita un
popolo logolamentazionale. Secondo i napoletani, la colpa di
tutte le catastrofi e di tutto il male una volta è di San Gennaro,
una volta del Vesuvio, una volta degli Angioini, una volta dei
tedeschi, una volta del terremoto e una volta degli americani, una
volta della Prima guerra mondiale e una volta della Seconda, una volta della Cassa per il Mezzogiorno, un'altra della classe politica, una
volta del Nord e la volta appresso del colera. Ecco, la colpa è
sempre di una terza persona o di un'altra cosa. I napoletani si credono
innocenti. Innalzano il loro canto lamentevole contro il destino, si
fanno la ninna nanna da soli e si addormentano."
Ruggero
Cappuccio, Fuoco su Napoli
Leggere
Il
terzo modo di leggere un libro è il più semplice, ma è proprio di
grandi lettori. Si acquista con l’età, l’esperienza, oppure è
un dono che si scopre in se stessi, da ragazzi, con la rivelazione
delle prime letture. Si tratta di non abbandonare mai “quel”
libro, di lasciarlo e riprenderlo, di “andarci a letto”. Ma
poiché questo modo è suggerito soltanto dai grandi autori, col
tempo si resta circondati soltanto da ottimi libri. E si diventa
perfidi, si arriva a capire un libro nuovo ad apertura di pagina, a
liberarsene subito. E se invece il libro convince, a lasciarlo per
qualche tempo sempre a portata di mano, sul tavolo o sul comodino,
poiché la sua sola vista procura un vero piacere, né si teme di
finirli presto: lo scopo di questi libri è infatti di essere
riletti, di farsi riprendere quando tutto va male, quando ci sembra
che la verità possa esserci confermata non da quello che succede
intorno a noi, ma da quello che è nelle pagine di un libro. Tutti i
grandi libri sono stati letti e continuano a essere letti così. È
più esatto dire che
non
si tratta di leggerli, ma di abitarli,
di sentirseli addosso.
Facendone
il conto, ognuno trova che i suoi si riducono a un centinaio,
largheggiando. E molti di essi hanno aspettato anni e anni prima di
essere ripresi, in un giorno di particolare disgusto esistenziale. Ma
è la loro forza.
sabato 6 febbraio 2016
Too hard for to fly
Min
fa parte dell'universo. È una stella fioca e cadente, ma è viva.
Non aveva amato tanto l'eclisse del sole quanto vederlo riapparire.
Se avesse voluto davvero seriamente morire, ci sarebbe riuscita da
tempo. Ama il limite, sfiorarlo e tirarsi indietro. Oppure non lo
ama. Lo odia, magari. Ma non importa. Magari raggiungere il limite le
dà l'impressione di aver compiuto un gesto straordinario, di aver
dato uno scopo alla propria vita, non foss'altro che quello di
prolungarla a dispetto di se stessa. È il capitano di entrambe le
squadre, si dichiara guerra da sola ma si trattiene da ogni vittoria
decisiva perché questo implicherebbe anche una sconfitta decisiva.
Miriam
Toews, The Flying Troutmans
Please
give me a second grace
Please give me a second face
I've fallen far down
The first time around
Now I just sit on the ground in your way
Now if it's time to recompense for what's done
Come, come sit down on the fence in the sun
And the clouds will roll by
And we'll never deny
It's really too hard for to fly.
Please tell me your second name
Please play me your second game
I've fallen so far
For the people you are
I just need your star for a day.
So come, come ride in my my street-car by the bay
For now I must know how fine you are in your way
And the sea sure as I
But she won't need to cry
For it's really too hard for to fly.
Please give me a second face
I've fallen far down
The first time around
Now I just sit on the ground in your way
Now if it's time to recompense for what's done
Come, come sit down on the fence in the sun
And the clouds will roll by
And we'll never deny
It's really too hard for to fly.
Please tell me your second name
Please play me your second game
I've fallen so far
For the people you are
I just need your star for a day.
So come, come ride in my my street-car by the bay
For now I must know how fine you are in your way
And the sea sure as I
But she won't need to cry
For it's really too hard for to fly.
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