Gli Amanti
Harux
e Harix hanno deciso di non alzarsi più dal letto: si amano
follemente, e non possono allontanarsi l’uno dall’altro più di
sessanta, settanta centimetri. Tanto vale allora rimanere a letto,
lontano dai richiami del mondo. C’è tuttavia il telefono, sul
tavolino da notte, che a volte strilla interrompendo i loro
amplessi: sono i parenti che chiamano per sapere se tutto va bene.
Ma anche queste telefonate familiari si fanno sempre più rare e
laconiche. Gli amanti si alzano soltanto per andare al gabinetto, e
non sempre; il letto è ormai tutto disfatto, i lenzuoli
stropicciati, ma loro non se ne accorgono, ciascuno immerso
nell’onda azzurra degli occhi dell’altro, le loro membra
misticamente allacciate.
La
prima settimana si sono alimentati di biscotti, ne avevano infatti
provviste abbondanti. Finiti i biscotti, ora si mangiano a vicenda.
Anestetizzati dal desiderio, si strappano grossi pezzi di carne con
i denti, tra due baci si divorano il naso o il dito mignolo, si
bevono l’un l’altro il sangue; poi, sazi, fanno di nuovo
l’amore, come possono, e si addormentano per ricominciare quando
si svegliano.
Hanno
perso il conto dei giorni e delle ore. Non sono belli a vedersi,
certo, insanguinati, dilaniati, appiccicosi; ma il loro amore è al
di sopra delle convenzioni.
R.
Wilcock, da Lo stereoscopio dei solitari
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