Non
si contano quasi le coppie che in questo momento sono occupate nel
mondo a insegnare a parlare a un bambino; riguardevole è pure il
numero di coppie occupate a fare la stessa cosa con uno scimpanzè. In
genere senza successo, perché gli scimpanzè normalmente non
parlano; ma molti di loro pare stiano sempre sul punto di dire
qualcosa, e così mantengono sveglio l’interesse. Come i nostri
migliori romanzieri, i quali sempre pare stiano, come gli scimpanzè,
sul punto di dire qualcosa.
Il
tentativo più riuscito, nel campo degli scimpanzè – del campo
romanzieri non si hanno notizie sufficienti –, è stato quello di
Keith J. Hayes e Cathy Hayes, presso il laboratorio Yerkes di
biologia dei primati. Dopo un lungo apprendistato, il loro primate si
è dimostrato in grado di dire quattro parole: «mama» (mamma),
«papa» (babbo), «cup» (tazza) e «up» (su).
Purtroppo queste parole la scimmia – come i nostri romanzieri il loro messaggio di impegno – le dice in un roco sussurro e quasi sempre a sproposito; quest’ultimo particolare è tuttavia da considerare con attenzione, da giudicare in sospeso, dal momento che nessuno sta nella testa dello scimpanzé per sapere se quando dice «su» vuol dire davvero «su» o qualcos’altro. Lo stesso vale d’altronde per tutti i primati parlanti che conosciamo e frequentiamo, romanzieri inclusi.
Purtroppo queste parole la scimmia – come i nostri romanzieri il loro messaggio di impegno – le dice in un roco sussurro e quasi sempre a sproposito; quest’ultimo particolare è tuttavia da considerare con attenzione, da giudicare in sospeso, dal momento che nessuno sta nella testa dello scimpanzé per sapere se quando dice «su» vuol dire davvero «su» o qualcos’altro. Lo stesso vale d’altronde per tutti i primati parlanti che conosciamo e frequentiamo, romanzieri inclusi.
J.
Rodolfo Wilcock, Il reato di scrivere
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