Stanco?
ho chiesto.
Mostruosamente,
ha detto.
Si
è alzato per mettere un disco, ultimamente aveva il pallino del
vinile. Ne apprezzava la ritualità, la procedura. Teneva in mano il
disco come la gente tiene in mano i dischi, non con le dita, con i
palmi. Ci ha soffiato sopra. La musica era un sussurro leggero, una
chitarra acustica, niente voce. Si è riseduto al tavolo e mi ha
chiesto di guardargli gli occhi.
Spurgano,
ha detto. Come se avessi un’infezione o qualcosa del genere.
Congiuntivite?
ho chiesto.
Non
so, ha detto. Ho l’impressione che gocciolino di continuo. È solo
un liquido trasparente, niente pus. Mi sdraio a letto e tutto questo
liquido cola fuori di lato. Forse dovrei farmi vedere da un medico,
da un ottico o qualcosa del genere.
Stai
piangendo, Nic.
No…
Sì.
Lo chiamano piangere.
Ma
di continuo? ha chiesto. Se è così non me ne rendo neanche conto.
È
un nuovo tipo di pianto, dissi. Per i tempi nuovi.
Mi sono sporta in avanti e gli ho messo le mani sulle spalle e poi sui lati del viso allo stesso modo in cui lui aveva tenuto il disco.
Mi sono sporta in avanti e gli ho messo le mani sulle spalle e poi sui lati del viso allo stesso modo in cui lui aveva tenuto il disco.
Miriam
Toews, I miei piccoli dispiaceri
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