sabato 25 febbraio 2017

Sempre capire non si può





Sempre voler capire. Non si può.
Bisogna cedere, bisogna ritirarsi,
bisogna fare come fanno i gatti
quando si acquattano, i muscoli in un fremito
contratti, prima di scagliarsi verso
una qualche preda, che sia per gioco
o che sia roba seria; o quando in ferocissimo
kabuki affrontano il rivale, e l’universo
intero allora si concentra, in un assorto
millimetrico avanzare, e poi
senza preavviso, forse perché si sta mettendo
male – la scusa è sempre una mosca o un moscerino
che si ritrova dalle loro parti –
guardano in giro, si fingono distratti,
loro che c’entrano? mica era sul serio!
Ma chissà, forse si distraggono davvero.

Patrizia Cavalli, Sempre voler capire





Alone








Abbiamo bisogno





Abbiamo bisogno di contadini,
di poeti,
di gente che sa fare il pane,
di gente che ama gli alberi e riconosce il vento.
Più che l’anno della crescita,
ci vorrebbe l’anno dell’attenzione.
Attenzione a chi cade,
attenzione al sole che nasce e che muore,
attenzione ai ragazzi che crescono,
attenzione anche a un semplice lampione,
a un muro scrostato.
Oggi essere rivoluzionari significa togliere più che aggiungere,
significa rallentare più che accelerare,
significa dare valore al silenzio,
al buio, alla luce, alla fragilità, alla dolcezza.

Franco Arminio





venerdì 24 febbraio 2017

Lobster




- Che vuoi fare? - gridò.
- Bollire la bestia - rispose lei - che altro?
- Ma non è morta – protestò Belacqua – non puoi bollirla così.
Lei lo fissò stupefatta. Aveva forse perduto il cervello?
 -Non essere assurdo – disse con tono brusco – le aragoste si fanno sempre bollire vive. Bisogna far così.–  Sollevò l’aragosta e la mise sul dorso. Essa diede un tremito. – Non sentono nulla – disse lei.
Era strisciata nelle profondità marine sino alla crudele pentola. Per ore, in mezzo ai suoi nemici, aveva respirato segretamente. Era sopravvissuta al gatto della Francese ed alle sue ottuse grinfie. Ora era entrata viva nell’acqua bollente. Così doveva.
Portatemi all’aria a respirar tranquillo.
Belacqua fissò la vecchia cartapecora del volto di lei, grigio nell’oscurità della cucina.
- Fai tanto chiasso – disse lei irosamente – e mi agiti e poi monti su tutte le furie per la tua cena..   Sollevò dal tavolo l’aragosta. Le restavano circa trenta secondi da vivere.
Bè,  pensò Belacqua,  è una morte veloce, che Dio ci aiuti tutti quanti.
Non lo è.

Samuel Beckett, Dante e l'aragosta







Senza vergogna



A sei mesi dalla scossa del 24 agosto e dopo quelle di ottobre ancora inagibile il 40% degli edifici, aumentano gli sfollati, sono quasi 12mila. 

Dei 3 mila moduli abitativi ne sono arrivati solo 18.

La stima effettuata dalla Protezione Civile parla di circa 3mila casette da installare in 60 Comuni, ma ne sono state ordinate solo 1.470 e consegnate appena 18, a Norcia. I ritardi sono evidenti, anche perché in molti casi non si è riusciti neanche ad individuare le aree, che dovranno poi essere urbanizzate, dove sistemare gli alloggi. E soprattutto non è terminato il censimento di chi ha diritto ad ottenere la casetta, tenendo conto che dovranno dimostrare di avere la casa completamente inagibile.







Silent Flying




The Silent Flying of an Owl.
The video shows how effortlessly an owl fly’s compared to other bird species. 
A pigeon that has a relatively large body and small wings needs to flap furiously to produce enough lift. A falcon has large wings that move more aggressively so the bird can gain much faster speeds. 
Both birds create large turbulence in the air and noise as a result. Comparatively, the owl is the perfect night time hunter, silently flying through the sky.








giovedì 23 febbraio 2017

mercoledì 22 febbraio 2017

Il gatto in un appartamento vuoto





Morire - questo a un gatto non si fa.
Perché cosa può fare il gatto
in un appartamento vuoto?
Arrampicarsi sulle pareti.
Strofinarsi tra i mobili.
Qui niente sembra cambiato,
eppure tutto è mutato.
Niente sembra spostato,
eppure tutto è fuori posto.
E la sera la lampada non brilla più.

Si sentono passi sulle scale,
ma non sono quelli.
Anche la mano che mette il pesce nel piattino
non è quella di prima.

Qualcosa qui non comincia
alla sua solita ora.
Qualcosa qui non accade
come dovrebbe.
Qui c'era qualcuno, c'era,
poi d'un tratto è scomparso
e si ostina a non esserci.

In ogni armadio si è guardato.
Sui ripiani si è corso.
Sotto il tappeto si è controllato.
Si è perfino infranto il divieto
di sparpagliare le carte.
Che altro si può fare.
Aspettare e dormire.

Che provi solo a tornare,
che si faccia vedere.
Imparerà allora
che con un gatto così non si fa.
Gli si andrà incontro
come se proprio non se ne avesse voglia,
pian pianino,
su zampe molto offese.
E all'inizio niente salti né miaulii.


Wislawa Szymborska






Addio, cari compagni












venerdì 17 febbraio 2017

Un ghirigoro fra tanti





(...) del mondo che vediamo siamo anche parte integrante, non siamo osservatori esterni. Siamo situati in esso. La nostra prospettiva su di esso è dall' interno. 
Siamo fatti degli stessi atomi e degli stessi segnali di luce che si scambiano i pini sulle montagne e le stelle nelle galassie. Man mano che la nostra conoscenza è cresciuta, abbiamo imparato sempre di più di questo nostro essere parte, e piccola parte, dell’universo. Ciò è avvenuto già nei secoli passati, ma sempre di più nell’ultimo secolo. Pensavamo di essere sul pianeta al centro del cosmo, e non lo siamo. Pensavamo di essere una razza a parte, nella famiglia degli animali e delle piante, e abbiamo scoperto che siamo discendenti dagli stessi genitori di ogni altro essere vivente intorno a noi. Abbiamo bisnonni in comune con le farfalle e con i larici. Siamo come un figlio unico che cresce e impara che il mondo non gira solo intorno a lui come pensava quando era piccolo. Deve accettare di essere uno fra gli altri. Specchiandoci negli altri e nelle altre cose, impariamo chi siamo.
Durante il grande idealismo tedesco, Schelling poteva pensare che l’uomo rappresentasse il vertice della natura, il punto altissimo dove la realtà prende coscienza di sé stessa. Oggi, dal punto di vista del nostro sapere sul mondo naturale, questa idea ci fa sorridere. Se siamo speciali, siamo speciali come è speciale ognuno per sé stesso, ogni mamma per il suo bimbo. Non certo per il resto della natura. Nel mare immenso di galassie e di stelle, siamo un infinitesimo angolo sperduto; fra gli arabeschi infiniti di forme che compongono il reale, noi non siamo che un ghirigoro fra tanti.

Carlo Rovelli, Sette brevi lezioni di fisica

 
 



giovedì 16 febbraio 2017

Quello che non vogliamo sapere e vedere





Negli allevamenti per la produzione di latte, la speranza è che nasca una femmina: si aspettano 15 mesi, la si insemina e dopo il parto si comincia la mungitura. I vitellini sono venduti ad allevamenti specializzati, che li alimentano quasi esclusivamente con latte in polvere per mantenere il colore della carne chiaro, prima di macellarli dopo 190 giorni. L’Italia produce circa il 70 per cento del suo fabbisogno con una produzione annua di circa 800mila capi. (Stefano Belacchi, Essere animali) 

 
Stefano Liberti, giornalista

È il grande rimosso del nostro tempo. Gli allevamenti intensivi – i capannoni dove gli animali sono rinchiusi, fatti ingrassare, trattati con antibiotici per evitare che si ammalino, infine inviati alla macellazione – sono qualcosa che nessuno vuole vedere. Paradossalmente, mentre cresce il consumo di carne al livello globale, aumenta la distanza fisica e anche cognitiva tra noi esseri umani e gli animali di cui ci nutriamo. 
 
Degli 8,5 milioni di maiali allevati in Italia, l’80 per cento si trova in Lombardia, Emilia-Romagna e Piemonte. L’organizzazione produttiva dell’allevamento suinicolo si divide in riproduzione e ingrasso. Le strutture più grandi compiono l’intero ciclo produttivo al loro interno, ma la maggior parte si dedica solamente all’ingrasso di animali nati in altri allevamenti. Oggi in Italia ci sono 521mila scrofe. - Marco Lattanzi, Essere animali
Degli 8,5 milioni di maiali allevati in Italia, l’80 per cento si trova in Lombardia, Emilia-Romagna e Piemonte. L’organizzazione produttiva dell’allevamento suinicolo si divide in riproduzione e ingrasso. Le strutture più grandi compiono l’intero ciclo produttivo al loro interno, ma la maggior parte si dedica solamente all’ingrasso di animali nati in altri allevamenti. Oggi in Italia ci sono 521mila scrofe. (Marco Lattanzi, Essere animali)

Eppure, quella animale dovrebbe essere una delle questioni più dibattute del mondo contemporaneo, con le sue enormi implicazioni morali, ma anche ambientali ed energetiche. Oggi, nel mondo due animali su tre sono allevati in questo modo. Il sistema non è sostenibile: le bestie rinchiuse nei capannoni devono essere nutrite. Milioni di ettari di terreno servono alla produzione di cereali e legumi per i mangimi, e sono sottratti alla coltivazione per l’alimentazione umana. Secondo le stime di Tony Weis, professore all’università di Western Ontario, il meccanismo allevamenti-colture per la produzione di mangimi occupa oggi un terzo delle terre arabili. 
 
Il 99 per cento della carne di coniglio proviene da allevamenti dove gli animali sono tenuti in gabbia; una condizione che non gli permette di soddisfare bisogni primari come scavare, correre e saltare. I conigli sono una delle principali prede del mondo animale, il loro scheletro, vedi i lunghi arti, è progettato per fuggire: quando corrono toccano la velocità di 30 chilometri orari e saltano fino a un metro d’altezza. (Stefano Belacchi, Essere animali)

L’allevamento intensivo è nato nel 1923 negli Stati Uniti quasi per caso: la signora Celia Steele, di Oceanview (Delaware), ricevette per errore 500 pulcini invece dei 50 che aveva ordinato. Non volendo disfarsene, pensò di chiuderli in un capannone, li nutrì con mais e integratori e gli animali resistettero all’inverno. Replicò l’operazione e diventò milionaria. Negli anni settanta un agricoltore del North Carolina, Wendell Murphy, applicò il metodo di Steele ai maiali. Seguirono le mucche, i conigli, i tacchini. Negli Stati Uniti, ci sono circa 70 milioni di maiali rinchiusi nei capannoni. 
 
Una settimana prima del parto le scrofe sono trasferite in questi box individuali; qui partoriscono e rimangono per tutto il periodo dello svezzamento (dai 21 a 28 giorni, tempo minimo stabilito per legge). In media una scrofa partorisce 12 suinetti 2,25 volte all’anno, l’11 per cento muore prima dello svezzamento. La carriera produttiva di una scrofa è considerata valida se concepisce più di 60 maialini, mediamente viene “riformata” dopo 4-6 parti all’età di circa tre anni, in natura arriva anche a 15. (Jo-Anne McArthur, Essere animali) 
 
E in Italia? Secondo le cifre dell’anagrafe zootecnica italiana, sono otto milioni, l’80 per cento dei quali ripartiti tra Lombardia, Piemonte ed Emilia-Romagna. Nella sola provincia di Brescia ci sono 1.286.418 suini, circa ventimila più dei residenti. Nessuno li vede, perché nessuno li vuole vedere.

Nel 2013, a 90 anni dalla nascita del primo allevamento intensivo negli Stati Uniti, sono stati macellati al livello globale 24 miliardi di polli. L’Italia ne alleva 500 milioni all’anno producendo più di quanto consuma con una percentuale di autoapprovvigionamento del 106 per cento. (Stefano Belacchi, Essere animali)

L’indagine dell’associazione Essere animali è la più completa mai condotta in Italia. Si tratta di un lavoro clandestino, fatto di appostamenti, di accessi notturni, di inviati sotto copertura. Le immagini che ne sono scaturite, di cui presentiamo qui una selezione, sono inquietanti. I maiali sono ammassati in spazi minuscoli, le scrofe sono imprigionate nelle cosiddette gabbie di gestazione, che gli impediscono ogni movimento. I polli “allevati a terra” (come si legge sulle etichette delle uova) vivono in capannoni sovraffollati privi di contatto con l’esterno. Gli uccelli non riescono a stare in piedi sulle proprie zampe perché sono letteralmente “gonfiati” con mangimi e ormoni. Tutto ciò non è un’eccezione, ma la prassi. Ed è una prassi del tutto legale. 
 
La struttura e le dimensioni delle gabbie di gestazione non permettono alla scrofa di girarsi su se stessa, un blocco totale dei movimenti imposto dagli allevatori al fine di prevenire che le madri schiaccino i cuccioli. All’interno di questi box i lattonzoli possono morire schiacciati, ci sono animali che partoriscono sopra i loro escrementi e scrofe con grosse piaghe dovute allo sfregamento con le barre di ferro dei box. (Stefano Belacchi, Essere animali)

Lontani dai riflettori, questi animali risultano invisibili. Sono pura e semplice materia prima. Ma anche coloro che lavorano in questi capannoni sono invisibili: la grande maggioranza della manodopera negli allevamenti intensivi è costituita da immigrati, per lo più indiani, sottoposti a turni massacranti e a mansioni che molti di noi non accetterebbero. Questo è il sistema di sfruttamento e di sofferenza alla base della produzione intensiva di carne. Quel sistema che l’industria non vuole mostrare, ma che noi fingiamo di ignorare, felici di ottenere carne a basso costo il più spesso possibile.