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Che vuoi fare? - gridò.
-
Bollire la bestia - rispose lei - che altro?
-
Ma non è morta – protestò Belacqua – non puoi bollirla così.
Lei
lo fissò stupefatta. Aveva forse perduto il cervello?
-Non
essere assurdo – disse con tono brusco – le aragoste si fanno
sempre bollire vive. Bisogna far così.– Sollevò l’aragosta
e la mise sul dorso. Essa diede un tremito. – Non sentono nulla –
disse lei.
Era
strisciata nelle profondità marine sino alla crudele pentola. Per
ore, in mezzo ai suoi nemici, aveva respirato segretamente. Era
sopravvissuta al gatto della Francese ed alle sue ottuse grinfie. Ora
era entrata viva nell’acqua bollente. Così doveva.
Portatemi
all’aria a respirar tranquillo.
Belacqua
fissò la vecchia cartapecora del volto di lei, grigio nell’oscurità
della cucina.
-
Fai tanto chiasso – disse lei irosamente – e mi agiti e poi monti
su tutte le furie per la tua cena.. Sollevò dal tavolo
l’aragosta. Le restavano circa trenta secondi da vivere.
Bè,
pensò Belacqua, è una morte veloce, che Dio ci aiuti tutti
quanti.
Non
lo è.
Samuel Beckett, Dante e l'aragosta
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