Eravamo
appena arrivati in quel palazzo, il trasloco era stato abbastanza
sbrigativo, e come tutti i traslochi era stata un’audizione, i
condòmini che ci guardavano dalla finestra e noi che cercavamo di
non dire e non fare niente che potesse infastidirli, volevamo subito
essere accettati. Cosí all’inizio sul balcone mettevamo solo fiori
molto appariscenti, stendevamo i vestiti migliori, e ci mostravamo
sempre la piú affiatata delle coppie. Quando litigavamo chiudevamo
le finestre per non farci sentire, e ci soffiavamo dentro tutta la
rabbia che avevamo. La stanza si gonfiava della nostra furia, le
pareti si incurvavano, la camera si faceva grotta, a ogni urlo un
soffio in piú, i muri che spingevano all’infuori, il soffitto che
saliva.
E
cosí pensavamo alla signora del piano di sopra, e a suo nipote, che
vedevano il pavimento gonfiarsi all’improvviso sotto i piedi. Poi
quando avevamo finito di discutere riaprivamo le finestre, la nostra
rabbia sfiatava fuori tutta insieme in un unico soffio che vibrava, i
muri tornavano dritti e cosí pure il pavimento. E noi uscivamo sul
balcone pieni di sorrisi, e se vedevamo qualcuno dicevamo Buongiorno
come va? Per le scale salutavamo tutti, io che mi presentavo e
stringevo le mani dei vicini, e Sara che diceva sempre Noi, perché
dire Noi era piú rassicurante. E poi perché era romantico, era come
rimettersi insieme ogni volta, come scegliersi di nuovo.
Andrea
Bajani, Ogni promessa
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