Michele
si è tolto la vita il 31 gennaio. La
lettera viene pubblicata per volontà dei genitori sul Messaggero
Veneto, il quotidiano regionale del Friuli Venezia Giulia, perché
questa denuncia non cada nel vuoto. Michele,
dicono i
genitori,
era «un ragazzo della generazione perduta che ha vissuto come
sconfitta personale quella che per noi è invece la sconfitta di una
società moribonda che divora i suoi figli».
***
Ho
vissuto (male) per trent’anni, qualcuno dirà che è troppo poco.
Quel qualcuno non è in grado di stabilire quali sono i limiti di
sopportazione, perché sono soggettivi, non oggettivi.
Ho
cercato di essere una brava persona, ho commessi molti errori, ho
fatto molti tentativi, ho cercato di darmi un senso e uno scopo
usando le mie risorse, di fare del malessere un’arte. Ma
le domande non finiscono mai, e io di sentirne sono stufo. E sono
stufo anche di pormene. Sono stufo di fare sforzi senza ottenere
risultati, stufo di critiche, stufo di colloqui di lavoro come
grafico, stufo di sprecare sentimenti e desideri per l’altro
genere (che evidentemente non ha bisogno di me), stufo di invidiare,
stufo di chiedermi cosa si prova a vincere, di dover giustificare la
mia esistenza senza averla determinata, stufo di dover rispondere
alle aspettative di tutti senza aver mai visto soddisfatte le mie,
stufo di fare buon viso a pessima sorte, di fingere interesse, di
illudermi, di essere preso in giro, di essere messo da parte e di
sentirmi dire che la sensibilità è una grande qualità. Tutte
balle. Se la sensibilità fosse davvero una grande qualità, sarebbe
oggetto di ricerca. Non lo è mai stata e mai lo sarà, perché
questa è la realtà sbagliata, è una dimensione dove conta la
praticità che non premia i talenti, le alternative, sbeffeggia le
ambizioni, insulta i sogni e qualunque cosa non si possa inquadrare
nella cosiddetta normalità. Non la posso riconoscere come mia. Da
questa realtà non si può pretendere niente. Non si può pretendere
un lavoro, non si può pretendere di essere amati, non si possono
pretendere riconoscimenti, non si può pretendere di pretendere la
sicurezza, non si può pretendere un ambiente stabile.
A
quest’ultimo proposito, le cose per voi si metteranno talmente male
che tra un po’ non potrete pretendere nemmeno cibo, elettricità o
acqua corrente, ma ovviamente non è più un mio problema. Il futuro
sarà un disastro a cui non voglio assistere, e nemmeno partecipare.
Buona fortuna a chi se la sente di affrontarlo.
Non
è assolutamente questo il mondo che mi doveva essere consegnato, e
nessuno mi può costringere a continuare a farne parte. È un incubo
di problemi, privo di identità, privo di garanzie, privo di punti di
riferimento, e privo ormai anche di prospettive.
Non
ci sono le condizioni per impormi, e io non ho i poteri o i mezzi per
crearle. Non sono rappresentato da niente di ciò che vedo e non gli
attribuisco nessun senso: io non c’entro nulla con tutto questo.
Non posso passare la vita a combattere solo per sopravvivere, per
avere lo spazio che sarebbe dovuto, o quello che spetta di diritto,
cercando di cavare il meglio dal peggio che si sia mai visto per
avere il minimo possibile. Io non me ne faccio niente del minimo,
volevo il massimo, ma il massimo non è a mia disposizione.
Di
no come risposta non si vive, di no si muore, e non c’è mai stato
posto qui per ciò che volevo, quindi in realtà non sono mai
esistito. Io non ho tradito, io mi sento tradito, da un’epoca che
si permette di accantonarmi, invece di accogliermi come sarebbe suo
dovere fare.
Lo
stato generale delle cose per me è inaccettabile, non intendo più
farmene carico e penso che sia giusto che ogni tanto qualcuno ricordi
a tutti che siamo liberi, che esiste l’alternativa al soffrire:
smettere. Se vivere non può essere un piacere, allora non può
nemmeno diventare un obbligo, e io l’ho dimostrato. Mi rendo conto
di fare del male e di darvi un enorme dolore, ma la mia rabbia ormai
è tale che se non faccio questo, finirà ancora peggio, e di altro
odio non c’è davvero bisogno.
Sono
entrato in questo mondo da persona libera, e da persona libera ne
sono uscito, perché non mi piaceva nemmeno un po’. Basta con le
ipocrisie. Non
mi faccio ricattare dal fatto che è l’unico possibile, il modello
unico non funziona. Siete voi che fate i conti con me, non io con
voi. Io sono un anticonformista, da sempre, e ho il diritto di dire
ciò che penso, di fare la mia scelta, a qualsiasi costo. Non esiste
niente che non si possa separare, la morte è solo lo strumento. Il
libero arbitrio obbedisce all’individuo, non ai comodi degli altri.
Io
lo so che questa cosa vi sembra una follia, ma non lo è. È solo
delusione. Mi è passata la voglia: non qui e non ora. Non posso
imporre la mia essenza, ma la mia assenza si, e il nulla assoluto è
sempre meglio di un tutto dove non puoi essere felice facendo il tuo
destino.
Perdonatemi,
mamma e papà, se potete, ma ora sono di nuovo a casa. Sto bene.
Dentro
di me non c’era caos. Dentro di me c’era ordine. Questa
generazione si vendica di un furto, il furto della felicità.
Chiedo
scusa a tutti i miei amici. Non odiatemi. Grazie per i bei momenti
insieme, siete tutti migliori di me. Questo non è un insulto alle
mie origini, ma un’accusa di alto tradimento.
P.S.
Complimenti al ministro Poletti. Lui sì che ci valorizza a noi
stronzi.
Ho
resistito finché ho potuto.
***
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