lunedì 31 luglio 2017

Artico e trivelle





Spy Island Drill Site -- isolotto artificiale ENI da dove trivellerà l'Artico. 
Quattro pozzi in orizzontale
per sei chilometri verso il mare.  
Tuttapposto. 


L'ENI ha 75 concessioni qui. 
Tutti noi che sappiamo come l'ENI operi, in terra, in mare, con la gente, con i politici, non possiamo che rabbrividire a questa notizia.

Il Beaufort Sea dell'Alaska sarà trivellato dall'ENI alla ricerca di petrolio come approvato dall'amministrazione di Donald Trump.
Claudio Descalzi e i suoi compari avevano comprato le concessioni circa dieci anni fa.  In totale ne hanno 75. Sarebbero scadute alla fine del 2017 se l'ENI non avesse fatto niente, e così la richiesta di trivellare è stata fatta velocemente il giorno 13 Giugno 2017, ed altrettanto velocemente è arrivato l'OK, esattamente un mese dopo.

Trump è o non è un businessman?

E così ci sono stati soli 21 giorni di tempo per revisionare e commentare il progetto di esplorazione, e solo dieci giorni per valutare l'intero impatto ambientale.
Ovviamente tutto questo è folle.

ENI o non ENI trivellare in Artico è contro ogni buon senso. Ci ha già provato la Shell per anni, e a causa di tempeste, freddo, correnti marine, disorganizzazione, gli è sempre andata male. I rischi sono tanti, e perdite e scoppi fra i ghiacci sono eventi per cui nessuno è preparato. Trivellare in condizioni estreme è difficile. E l'ENI se già fa disastri in Basilicata o in Norvegia, figuriamoci cosa combinerà al Polo Nord.

Cosa esattamente farà l'ENI?

Trivelleranno partendo da un isolotto artificiale di proprietà dell'ENI chiamato Spy Island Drill Site. Siamo nella Harrison Bay, e dall'isolotto l'ENI trivellerebbe sottoterra e sotto il mare verso le acque aperte del Beaufort Sea. In tutto questo sarà realizzato il più lungo condotto orizzontale mai costruito nella storia allo scopo di estrarre petrolio in Artico, lungo circa sei chilometri.
Tanta è infatti la distanza stimata dall'isolotto al mare aperto, sotto i fondali marini.

La particolare concessione si chiama Nikaitchuq, e guarda caso, parte dell'infrastruttura a terra della concessione, era già stata rasa al suolo da un incendio nel 2015. 

Si vede che se ne sono dimenticati.
Se tutto va bene, Descalzi potrebbe iniziare il 15 Dicembre 2017, con le trivelle permesse solo d'inverno, perche è solo allora che il mare si ghiaccia e che permetterebbe la costruzione di una strada temporanea in superificie.

Tremo solo al pensiero.

In questa zona c'è anche il delta del fiume Colville River Delta dove vivono molte specie marine, alcune protette, altre a rischio fra cui balene, orsi polari, foche dagli anelli. E poi ci sono vari tipi di uccelli che spesso transitano qui d'estate.

Che ne sarà di loro?
Che ne è stato di loro dove l'ENI -- e qualsiasi delle sue sorelle -- ha gia' messo piede?

L'ENI dice che anche qui è
tuttapposto. Siccome trivelleranno solo d'inverno ci saranno pochi animali. Come sempre, hanno una risposta per tutto.

La partita in realtà non è ancora chiusa perchè ci sono ancora vari stadi di approvazione per l'ENI. Fra le leggi USA c'è il cosiddetto Outer Continental Shelf Lands Act che impone all'ente che si occupa di gestire le risorse energetiche dagli oceani americani, il Bureau of Ocean Energy Management (BOEM), di rigettare piani petroliferi esplorativi se queste porteranno a danni gravi all'ambiente marino, costiero o umano.
Varie associazioni si erano attivate in quelle scarsissime tre settimane di tempo per discutere i progetti ENI, i danni da inquinamento che Descalzi e la sua ditta avrebbe portato al Polo Nord, le conseguenze delle trivelle sul clima e sulla vita marina.
Fra questi il Center for Biological Diversity che aveva anche ricordato che, se vogliamo una qualche speranza di salvare il pianeta dalla catastrofe, gran parte del petrolio non estratto, incluso quello dell'Artico, deve restare sottoterra.

Dal canto suo l'ENI risponde picche: sì, potrebbe esserci un scoppio e questo potrebbe portare a circa 21 milioni di galloni di petrolio in mare e fra i ghiacci.
Così, lo dicono con nonchalance.
Sono 80 milioni di litri.
Come si pulisce?

Non si pulisce perchè è quasi impossibile. Nei pressi dove l'ENI vuole trivellare non c'è infrastruttura utile per eventuali operazioni di pulizia, non ci sono strade praticabili a terra, non ci sono porti, e la guardia costiera più vicina è a 1600 chilometri di distanza.

Ci sono solo foche, balene, e orsi.

Ma al BOEM sotto l'amministrazione Trump non glien'è importato granchè. Hanno approvato lo stesso. Anzi, si dicono entusiasti di poter lavorare con ENI perchè c'è tanto potenziale di petrolio e di gas nel Beaufort Sea che aspetta solo di essere scoperto.

Ma come, Obama non aveva chiuso l'Artico alle trivelle?

Sì, ma un pezzettino l'aveva escluso. Ed è qui che l'ENI aveva le sue belle concessioni. Intanto Trump ha riaperto ciò che Obama aveva chiuso. Ci sono cause in corso per non permettere le trivelle in quei mari graziati da Obama, ma non si sa come andra' a finire.
Il diavolo, come sempre, sta nei dettagli. 

















Eccomi




Eccomi, dice il gatto, amami come sono oppure non amarmi affatto.

Jeffrey Moussaieff Masson










sabato 29 luglio 2017

Choices




In un qualche modo anche noi in occidente cominciamo a renderci conto che qualcosa non funziona nel nostro modo di comportarci con la natura. A volte abbiamo persino l'impressione che la nostra vantata civiltà, tutta fondata sulla ragione, sulla scienza e sul dominio di ciò che ci circonda, ci abbia portato in un vicolo cieco, ma tutto sommato pensiamo ancora che proprio la ragione e la scienza ci aiuteranno ad uscirne. 
Così continuiamo imperterriti a tagliare foreste, inquinare fiumi, seccare laghi, spopolare oceani, allevare e massacrare ogni sorta di animale perché questo (ci dicono gli scienziati-economisti) produce benessere. E con il miraggio che più benessere vuol dire più felicità, investiamo tutte le nostre energie nel consumare, come se la vita fosse un eterno banchetto romano in cui si mangia e si vomita per poter rimangiare.

Tiziano Terzani









Mutual rescue














venerdì 28 luglio 2017

Modestia a parte













Forme e combinazioni




Le cose di cui ci occupiamo nella scienza si mostrano in una miriade di forme, e con una moltitudine di attributi. Per esempio, se stiamo sulla spiaggia e guardiamo il mare, vediamo l’acqua, le onde che si infrangono, la schiuma, il movimento agitato dell’acqua, il suono, l’aria, il vento e le nuvole, il sole e il cielo azzurro, la luce; c’è la sabbia, pietre di varia durezza e stabilità, colore e consistenza. Ci sono animali e alghe, fame e malattia, e l’osservatore della spiaggia; ci possono essere persino felicità e pensiero. Qualsiasi altro luogo in natura ha una simile varietà di cose e di influenze. 
È sempre così complicato, in qualsiasi luogo. La curiosità pretende che ci poniamo delle domande, che cerchiamo di mettere le cose insieme e di capire questa moltitudine di aspetti come il risultato, forse, dell’azione di un numero relativamente piccolo di cose e forze elementari che agiscono in un’infinità varietà di combinazioni.
Per esempio: la sabbia è diversa dalle pietre? Cioè, non è forse la sabbia nient’altro che un gran numero di pietre piccolissime? La Luna non sarà magari una pietra enorme? 
Se capissimo le pietre, capiremmo anche la sabbia e la Luna? Il vento è un’agitazione dell’aria analoga all’agitazione dell’acqua del mare? Quali caratteristiche hanno in comune questi moti diversi? Quanti colori diversi esistono?

Richard Feynman, Sei pezzi facili








giovedì 27 luglio 2017

Casa loro / Congo




Nel 1885 Leopoldo II riuscì a impossessarsi di un immenso territorio (76 volte più grande del Belgio) ricoperto di foreste nel cuore dell’Africa − il bacino idrografico del fiume Congo − grazie a un’abilissima campagna di pubbliche relazioni, nel nome della promozione di ricerche geografiche e scientifiche, della lotta ai mercanti di schiavi arabi, e della diffusione della civiltà e del progresso.
Cos’erano a quei tempi le ricchezze della foresta? 

Ce n’era una, ambitissima dall’industria dell’epoca, una resina che si ricavava incidendo la corteccia dei cosiddetti alberi della gomma e si raccoglieva in recipienti messi ai piedi del tronco. Era il caucciù, che, grazie alla scoperta del processo di vulcanizzazione, era destinato a diventare il precursore della plastica. Per ottenere il controllo di questa materia prima strategica, re Leopoldo organizzò un vero e proprio regime commercial-militare fondato consapevolmente sul terrore.
Occorreva manodopera per raccogliere il caucciù e trasportarlo fino al mare, così tutti gli africani furono obbligati a raccogliere quella resina senza alcun compenso. Ogni villaggio doveva consegnare agli emissari del re-filantropo una certa quota del prezioso prodotto vegetale: chi si rifiutava, o consegnava quantità minori di quelle richieste, era punito duramente, fino alla mutilazione: gli veniva tagliata una mano o un piede; alle donne, le mammelle. Contro i ribelli si ricorreva all’assassinio, a spedizioni punitive, distruzioni di villaggi, presa in ostaggio delle donne.


A fare il lavoro sporco erano circa duemila agenti bianchi, disseminati nei punti più importanti del “regno” di Leopoldo: molti di essi erano malfamati in patria e malpagati in Congo. Ogni agente comandava truppe di mercenari (sedicimila in tutto) per assicurare che la gente facesse il proprio dovere. Se la quota era inferiore a quella stabilita, si ricorreva a fustigazioni o mutilazioni. Era il metodo del terrore, tanto efficace quanto diabolico.

Tutto questo accadeva nello Stato Libero del Congo, così Leopoldo aveva chiamato il “suo” possedimento. Il risultato fu che, secondo calcoli attendibili, nell’arco di un ventennio morirono circa 10 milioni di persone, direttamente per le amputazioni o per le violenze, o indirettamente per epidemie o per fame. Sì, per fame. Perché un’altra forma di punizione per chi non riusciva a portare le quantità volute di caucciù era la distruzione dei raccolti o addirittura dei villaggi. E portare la preziosa resina nelle quantità volute diventava sempre più difficile, perché le piante adatte, visto lo sfruttamento intensivo, si trovavano sempre più lontano dal fiume e molti villaggi non riuscivano a onorare le richieste.



Nell’agosto del 1908, poco prima di cedere ufficialmente la propria colonia personale al governo del Belgio, Leopoldo II fece bruciare per otto giorni consecutivi la maggior parte dei suoi archivi. «Regalerò ai belgi il mio Congo, ma non avranno diritto a sapere ciò che vi ho fatto», disse. E, oltre alle carte ridotte in cenere, ridusse drasticamente al silenzio i testimoni scomodi. Fu così che una parte importante della storia della dominazione europea in Africa venne cancellata.



Raffaele Masto





mercoledì 26 luglio 2017

Dati










Polvere




Tutta la diversità umana è il prodotto della varietà quasi infinita delle combinazioni di geni. Noi tutti siamo formati della stessa polvere cromosomica, nessuno di noi ne possiede un solo granello che possa rivendicare come suo. È il nostro insieme che ci appartiene e ci fa nostri: noi siamo un mosaico originale di elementi banali.

Jean Rostand, Pensieri di un biologo







martedì 25 luglio 2017

Regole d'oro




10 REGOLE D'ORO PER VIVERE SERENI

 

1.
Quando hai dei sintomi che ti preoccupano (un dolore intercostale, un prurito inesistente, una macchia, nessuna macchia, cose di questo tipo) mai cercare informazioni su internet. Con internet dopo tre click sei già arrivato al tumore. Se non ti senti bene, vai dal tuo medico di base e lasciati rassicurare dalla sua incompetenza.

2.
Non cercare mai gli occhiali quando sei senza occhiali, è inutile. Siediti da qualche parte e aspetta, prima o poi ritorneranno.

3.
Leggi solo giornali in lingue che non conosci.

4.
Non metterti mai a discutere con degli sconosciuti, rischi solo di innervosirti. Che ti importa di persone a cui non tieni? Dai sempre ragione a tutti e, quando uno ti nomina la sua città natale, tu digli sempre “magnifica città, non credo esista posto più bello al mondo”, lo farai contento.
Esempio.

Io sono di Busto Arsizio.

Magnifica città, non credo esista posto più bello al mondo.

È orribile.

Hai ragione.

5.
Se per caso ti capita di sporcarti d’olio mentre apri una scatoletta di tonno, mi raccomando, non farti prendere dal panico. Devi resistere alla tentazione di versarti tutta la scatoletta sulle mani e spalmartela rabbiosamente addosso come fosse sapone. Respira profondamente e conta fino a cento, anzi, 1016. Che sarà mai un po’ d’olio? Se stai cenando con una scatoletta di tonno, i tuoi problemi sono altri.

6.
Rinuncia a cercare una logica nel comportamento umano, altrimenti finirai col perdere il senno e ti istupidirai come un qualsiasi babbeo. È successo a molti. Per esempio conoscevo un tizio che era uno stimato professionista nel ramo del commercio degli arredi da bagno, finché, un giorno, si è chiesto com’è possibile che alcuni si lamentino giorno e notte dei cosiddetti “politici corrotti” e poi, come se niente fosse, pretendano di essere pagati in nero. Il giorno dopo si è svegliato così


7.
Non fotografarti, così non saprai mai che sei invecchiato.

8.
Quando ti accorgi che uno sta cercando di fregarti, cerca di facilitargli il compito, così almeno si sbriga. Opporsi non serve a niente, prolunghi solo l'agonia. Io, quando uno mi si avvicina per propormi un “affare”, gli do direttamente 50 euro.

9.
Non iniziare mai a bere Champagne, è come la famosa pillola rossa di Morpheus: dopo che l’avrai presa, ogni altro vino ti sembrerà succo di frutta scaduto.

10.
Cerca di vedere le persone come se fossero cavalli, tutto ti sembrerà più accettabile.


Pubblicato da Smeriglia | 24.7.17











lunedì 24 luglio 2017

Canzoni che ti salvano la vita




Canzoni che ti salvano la vita, 
che ti fanno dire "no, cazzo, non è ancora finita!", 
che ti danno la forza di ricominciare,
che ti tengono in piedi quando senti di crollare
Ma non ti sembra un miracolo
che in mezzo a questo dolore
e tutto questo rumore,
a volte basta una canzone, 

anche una stupida canzone,
solo una stupida canzone,
a ricordarti chi sei








domenica 23 luglio 2017

Bye bye, Tav



C’eravamo tanto amati, il TAV al capolinea


Ho bisogno di una pausa di riflessione. Si dice così quando un amore finisce ma non si ha il coraggio di confessarlo al partner. La verità è che la Torino-Lione sembra arrivata al capolinea. Dopo un quarto di secolo di varianti e manganellate, Élisabeth Borne, ministro francese ai trasporti, ha confessato al giornale ecologista “Reporterre” che sul TAV il presidente Macron vuole prendersi, appunto, una pausa di riflessione. Per riesaminare le strategie sulla mobilità. E perché oggi nessuno sa più spiegare a cosa diavolo serva costruire quel tunnel nelle montagne della Val di Susa.
(...)
Di quel sogno europeo – in Italia sempre difeso dai governi di ogni colore: fossero di destra, di sinistra o tecnici – non resta che un tunnel immaginario e costosissimo (8,6 miliardi di euro, il 35% a carico dell’Italia), con un impatto ambientale e sociale devastante (una montagna di polveri tossiche da sbancare in una valle chiusa, l’area degli scavi militarizzata, processi per terrorismo ai contestatori), ormai del tutto inutile e quasi certamente antieconomico.
Secondo l’Osservatorio Torino-Lione, se mai i lavori davvero partissero, non terminerebbero prima del 2035 e non si vedrebbero benefici economici prima del 2073. Roba da scrittori di fantascienza più che da economisti. Si capisce perché adesso i francesi dicano di voler «riesaminare le spese e le risorse per non fare più promesse non finanziate».
Certo, Borne si è affrettata ad aggiungere che Parigi terrà in considerazione la specificità di una tratta internazionale che coinvolge anche l’Italia e l’Europa. E che per il momento è solo una pausa di riflessione. Ma se la Francia ci molla, noi come lo giustifichiamo il grande buco? Con la litania del progresso che non si può arrestare? Perché ce lo chiede l’Europa? Per non restare tagliati fuori? (e da cosa?) Per non darla vinta ai No TAV? O magari perché gli appalti sono sempre appalti, anche quando l’opera non serve più?









La Città Blu




  

Nella parte settentrionale del Marocco, nel cuore della catena montuosa del Rif, si trova la piccola città di Chefchaouen, anche chiamata la Città Blu, dal colore con cui sono state dipinte le pareti esterne dei suoi edifici. Le pareti di un azzurro brillante si dice siano state introdotte nel 1930 da profughi ebrei, che consideravano il colore blu simbolo del cielo e del paradiso.


Abitata da popoli berberi, fu fondata da spagnoli provenienti dall’Andalusia esiliati nel XV secolo, ecco perché la parte antica della città ha un aspetto molto simile a quella dei villaggi andalusi, con piccole vie dal tracciato irregolare. Gran parte dei suoi abitanti ancora oggi parla spagnolo.


 La città fu per secoli considerata sacra, ed era proibito l’ingresso a stranieri e turisti; dal 2010 è stata dichiarata Patrimonio Mondiale dell’Umanità UNESCO

 


 






sabato 22 luglio 2017

Plastica




 
 



E' questo il nostro consumo mondiale di bottigliette di acqua, Coca Cola, e tutto quello che beviamo-e-gettiamo.
Ogni giorno, in media, che sia estate, che sia inverno. I numeri sono in costante aumento e non se ne vede la fine, specie con l'avanzare della voglia di "moderno" in paesi in via di sviluppo e fra i nouveau riche, primi fra tutti in Cina.

Cosa vuol dire un milione al minuto?
Un miliardo e quattrocentoquaranta al giorno.
Mezzo trilione all'anno.
Per vederlo con tutti gli zeri sono
525,600,000,000.

Se le mettessimo tutte in fila sarebbero metà della distanza dalla Terra al Sole.
Ogni tanto compaiono immagini di isole remote coperte dalla plastica, di uccelli con tappi nello sto
maco, di delfini e balene e altre creature del mare soffocate dalla plastica.

Non va bene, e la colpa
è di tutti noi.

Ora uno dirà va bene, le ricicliamo. E in effetti il PET delle bottigliette di plastica è r
iciclabile. Si chiama polyethylene terephthalate, e non è difficile, in principio, trovare altri usi a bottigliette usate. Ma le percentuali di riciclaggio sono bassissime.
Nel 2016 meno della metà delle bottigliette di plastica è stata raccolta con lo scopo di essere r
iciclata, e alla fine solo il 7% e' finito veramente con l'essere trasformato in bottiglie nuove. Il resto è finito in discarica, o peggio, in mare, o peggio ancora a pezzettini negli stomaci degli esseri marini. 
Ogni anno, fra bottiglie di plastica e altra roba, fra i 5 e i 13 milioni di tonnellate di plastica finiscono direttamente nelle pance di uccelli, pesci e altri organismi del mare.

Come si può non pensare che presto la plastica arriverà anche nei nostri corpi?
Siamo un ciclo chiuso. Non è che plastica e pesci e mare tutti assieme, e l'uomo no.  Prima o poi succederà.
E infatti alcuni ricercatori belgi dell'Universita' di Ghent hanno stimato che fra i consumatori di pesce, la media e' circa 11mila pezzettini di microplastica l'anno ingeriti.  Spesso non ce ne accorgiamo perchè sono piccolissimi.

Allo stesso modo, uno studio dell'Università di Plymouth riporta che di tutti i pesci catturati nel Regno Unito, un terzo hanno plastica in corpo, e questo include merluzzi, sgombri e altri pesci del mare del Nord. Sono pesci destinati al consumo umano.

Ancora, nel 2016, la European Food Safety Authority che si occupa di dare linee guida per il consumo di pesce in Europa riporta che esistono i rischi del consumo di microplastica da parte dell'uomo a causa del pesce contaminato da pezzetti di plastica e consiglia vivamente che ci siano studi adeguati e sensibilizzazione fra le persone.
Ovviamente la plastica non si può in nessun modo mangiare.
Cosa fare? Le risposte sono semplici, e urgenti in questi mesi estivi, cioè usare di meno le bottiglie di plastica, riutilizzarle, essere sicuri di sapere dove vanno a finire, una volta che non si usano più,  e se si vede plastica in mare o in spiaggia non ver
gognarsi a raccoglierla e a smaltirla correttamente. Magari mettere le tasse per il vuoto a rendere, come fanno già in alcune parti del mondo.
Si stima che il consumo di plastica raddoppierà in 20 anni.
Gli sforzi per il riciclo e il riuso non sono in nessun modo adeguati su questo pianeta.

Le prime bottigliette di plastica sono comparse sulla scena mondiale ngli anni 1940. Quelle che sono finite in mare da allora, sono ancora pressochè intatte.  E così pure tutte quelle successive.
La plastica è dappertutto nei nostri mari. A parte le enormi isole di monnezza nel Pacifico, i Great Garbage Patch, cumuli di plastica arrivati in Artico, alle Maldive, e in isole disabitate e  remote.
Di chi è la colpa?
Beh, il principale tipo di plastica che finisce in mare è proprio la bottiglietta di plastica per l'acqua. Dalla Cina ne arrivano sempre di più: un quarto delle bottiglie consumate sul pianeta arriva da lì.
Basti solo dire che nel 2015 sono stati usati 68 miliardi di bottiglie in Cina. Nel 2016 siamo arrivati a 74.  E questo perchè fa chic, ma anche perchè, man mano che ci si sposta a vivere in zone sempre più urbanizzate, l'acqua di bottiglia è percepita essere più sana dell'acqua di rubinetto, e forse lo è realmente.
Grandi aumenti anche in India e in Indonesia.










venerdì 21 luglio 2017

Namibia / Naukluft National Park




Il parco nazionale di Namib-Naukluft è un'area naturale protetta situata nel deserto del Namib. Con un'estensione totale di 49.768 km² (pari all'incirca all'area della Svizzera), il Namib-Naukluft è la più grande riserva faunistica dell'Africa ed è il quarto più grande parco nazionale del mondo. Comprende una vasta porzione del deserto del Namib e parte dei monti Naukluft.
Il paesaggio del parco è caratterizzato da alte dune di sabbia dal vivido colore arancione, dovuto all'ossidazione delle particelle di ferro presenti nella sabbia; poiché l'ossidazione aumenta col passare del tempo, le dune più antiche sono quelle dal colore più intenso. Nei pressi della costa sull'Oceano Atlantico, le dune si alternano a lagune e aree alluvionali, ricchissime di avifauna.
Il parco ospita una stupefacente varietà di specie animali adattate alle condizioni impervie del deserto: vi si trovano molte specie di serpenti, gechi e insetti, ma anche animali di taglia più grande come iene e sciacalli.
 
(Wikipedia)








RIP













giovedì 20 luglio 2017

I am because we are




Ubuntu è un'etica o un'ideologia dell'Africa sub-Sahariana che si focalizza sulla lealtà e sulle relazioni reciproche delle persone.
È un'espressione in lingua bantu che indica "benevolenza verso il prossimo". 
È una regola di vita, basata sulla compassione, il rispetto dell'altro. Appellandosi all'ubuntu si è soliti dire Umuntu ngumuntu ngabantu, "io sono ciò che sono in virtù di ciò che tutti siamo". L'ubuntu esorta a sostenersi e aiutarsi reciprocamente, a prendere coscienza non solo dei propri diritti, ma anche dei propri doveri, poiché è una spinta ideale verso l'umanità intera, un desiderio di pace.

Ecco alcune interpretazioni del senso di Ubuntu:

  • «Io sono quello che sono per quello che tutti siamo»
  • «Io sono perché noi siamo»
  • «Io sono ciò che sono per merito di ciò che siamo tutti»
  • «Umanità verso gli altri» 
     
Una definizione popolarmente accettata è anche «la credenza in un legame universale di scambio che unisce l'intera umanità».
Si può tradurre Ubuntu (non senza perdita di parte del significato) con Umanità, nel senso di qualità umana. Cercando di tradurre la parola, bisogna infine tenere presente che nel senso di Ubuntu trova spazio anche la dimensione religiosa di un legame tra tutti gli esseri umani.
Louw suggerisce che il concetto di Ubuntu definisce l'individuo in funzione delle sue molteplici relazioni con gli altri, e sottolinea l'importanza di ubuntu come concetto religioso. Egli dichiara che mentre la massima Zulu umuntu ngumuntu ngabantu ("una persona è una persona tramite (altre) persone") potrebbe non avere apparenti connotazioni religiose nel contesto della società Occidentale, nel contesto Africano suggerisce che la persona deve diventare tale comportandosi con il resto dell'umanità in modo conforme al rispetto degli antenati e in loro venerazione. Coloro i quali sostengono il principio di ubuntu durante la loro vita potranno raggiungere, nella morte, un'unità con quelli che sono ancora vivi.

(Wikipedia)






Oooh, what a lucky man he was




È rimasto immobile, respirando appena, e ha lasciato che il felino annusasse il suo corpo e il suo zaino. Molto altro non poteva fare questo fotografo del canale naturalistico Earth Touch, impegnato nella realizzazione di un servizio sui leoni in Botswana.
Graham Springer, stava lavorando insieme a un collega quando una leonessa si è avvicinata alla sua postazione. Inchiodato accanto al veicolo, Graham ha aspettato che l'animale passasse oltre quando, all'improvviso, forse attirata dalla sua strumentazione, la leonessa è tornata sui suoi passi.