C’eravamo tanto amati, il TAV al capolinea
Ho
bisogno di una pausa di riflessione. Si dice così quando un amore
finisce ma non si ha il coraggio di confessarlo al partner. La verità
è che la Torino-Lione sembra arrivata al capolinea. Dopo un quarto
di secolo di varianti e manganellate, Élisabeth Borne, ministro
francese ai trasporti, ha confessato al giornale ecologista
“Reporterre”
che sul TAV il presidente Macron vuole prendersi, appunto, una pausa
di riflessione. Per riesaminare le strategie sulla mobilità. E
perché oggi nessuno
sa più spiegare a cosa diavolo serva costruire
quel tunnel nelle montagne della Val di Susa.
(...)
Di
quel sogno europeo – in Italia sempre difeso dai governi di ogni
colore: fossero di destra, di sinistra o tecnici – non resta che un
tunnel immaginario e costosissimo (8,6 miliardi di euro, il 35% a
carico dell’Italia), con un impatto ambientale e sociale
devastante (una montagna di polveri tossiche da sbancare in una
valle chiusa, l’area degli scavi militarizzata, processi per
terrorismo ai contestatori), ormai del tutto inutile e quasi
certamente antieconomico.
Secondo
l’Osservatorio Torino-Lione, se mai i lavori davvero partissero,
non terminerebbero prima del 2035 e non si vedrebbero benefici
economici prima del 2073. Roba da scrittori di fantascienza
più che da economisti. Si capisce perché adesso i francesi dicano
di voler «riesaminare le spese e le risorse per non fare più
promesse non finanziate».
Certo,
Borne si è affrettata ad aggiungere che Parigi terrà in
considerazione la specificità di una tratta internazionale che
coinvolge anche l’Italia e l’Europa. E che per il momento è solo
una pausa di riflessione. Ma se la Francia ci molla, noi come lo
giustifichiamo il grande buco? Con la litania del progresso che non
si può arrestare? Perché ce lo chiede l’Europa? Per non restare
tagliati fuori? (e da cosa?) Per non darla vinta ai No TAV? O magari
perché gli appalti sono sempre appalti, anche quando l’opera non
serve più?
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