Anche
se la maggior parte di noi inizia un percorso meditativo in cerca di
pace, ben presto ci si accorge che quello con cui entriamo in
contatto è il caos della nostra mente e la ristrettezza del nostro
cuore.
La
pace non è la quiete, è piuttosto l’accoglienza
dell’irrequietezza.
Non
si tratta dunque, di sottrarsi alla vita, all’azione, alle sue
necessità per fuggire in un mondo solo interno, in un oltre, ma si
tratta di non essere incantati. E’ come svegliarsi.
Il
mondo può cambiare solo se cominciamo a cambiare noi stessi, perché
la postura “fisica e del cuore” necessaria per meditare è
“esporsi all’essere”.
La
meditazione, se praticata quotidianamente e con senso di avventura,
cioè di ricerca, a poco a poco cambia la vita, perché cambia
gradualmente il nostro stato di coscienza.
C’è
una bellissima definizione di Yogananda in proposito: “meditare
significa morire al mondo senza morire”. È un lasciar andare tutte
le cose cui quotidianamente, e per tutta la vita, rimaniamo
aggrappati.
Entrare
in meditazione, accogliere in silenzio il respiro, conoscere senza
pensare, è anche un atto politico.
Ha
una portata collettiva indelebile, ci trasforma e con noi trasforma
tutto il mondo attraverso il cambiamento del nostro atteggiamento
verso ogni fenomeno con cui veniamo in contatto.
Seminare
la meditazione, come pure seminare la poesia a scuola, fra i bambini,
significa innanzi tutto invitare a tollerare di non capire, per
imparare ad ascoltare e ospitare nel corpo.
Incorporare
è portare umilmente al corpo ancora e ancora quello che ascoltiamo,
finché l’io si stanca e allora noi cambiamo, ci apriamo al non
conosciuto.
Chandra
Livia Candiani, Il silenzio è cosa viva