Nel corso degli anni, gli scienziati hanno via via smantellato i vari strati dell’ignoranza umana per rivelare sempre di più come realmente funziona il mondo. Gradualmente hanno svelato una realtà che, non solo è leggermente diversa dalla nostra percezione quotidiana, ma procede addirittura in direzione opposta a quello che il senso comune ci suggerirebbe. Per esempio, oggi sappiamo che il nostro udito può percepire solo una piccola frazione dell’intera gamma dei suoni che ci circondano, e lo stesso vale per i nostri occhi che, vedendo solo una piccola parte dell’intero spettro di onde elettromagnetiche, possono cogliere soltanto una frazione di quello che ci sarebbe da vedere intorno a noi. Il mondo degli oggetti, di cui noi stessi facciamo parte, e che consideriamo certo e ben definito, si rivela composto principalmente da spazio vuoto e vibrazioni. Se poi ci avventuriamo nel campo delle particelle che formano tutto ciò che esiste, il mondo diventa ancora più strano e instabile. Non c’è nulla di immutabile, nulla rimane identico da un istante a quello successivo. Tutto è in continuo cambiamento, le particelle appaiono e scompaiono apparentemente a caso, a volte ci sono, altre volte no, a volte appaiono sotto forma di particella, altre volte sotto forma di energia. Imprevedibili, perfino irreali.
Einstein
una volta disse che tutto questo è assurdo, ma si rivela tuttavia
vero.
A
mio avviso è molto significativo che una delle leggi più importanti
per descrivere il mondo su cui si basa la realtà che percepiamo sia
stata chiamata dagli scienziati “principio di indeterminazione”,
per indicare proprio che il mondo reale sembra cambiare sotto gli
occhi degli scienziati, a seconda di come e di quando viene
osservato.
(…)
Quando iniziai a conoscere meglio il pensiero buddista, mi sembrò che ci fossero notevoli somiglianze tra le teorie scientifiche sul funzionamento del mondo e molti princìpi buddisti. Anche il Buddismo dice che il cambiamento è il ritmo continuo di tutte le cose sotto il sole, anzi, di tutte le cose “compreso il Sole”. Usa la parola “impermanenza” e parla di separazione, ma anche di non dualità fra mente e corpo, fra essere vivente e ambiente: li chiama, con un’espressione che rimane subito impressa, “due ma non due”. È qualcosa che non possiamo vedere, dobbiamo crederci sulla fiducia. Perciò la maggior parte degli insegnamenti buddisti ci esorta a riconsiderare alcuni degli assunti quotidiani, apparentemente dettati dal buon senso, che ci portiamo dietro, a togliere loro la patina di familiarità, a rimettere a fuoco le lenti con cui osserviamo il mondo, in modo da riuscire a vederlo con maggior chiarezza. È lo stesso mondo di sempre, ed è solo il modo in cui lo percepiamo che è mutato, ma questo cambiamento influisce profondamente sul modo in cui ci comportiamo, con noi stessi e con gli altri.
W.Woollward, Il buddista riluttante
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