La pastiera, quella vera, va fatta in casa. Punto e basta.
E badate bene, nessuna pastiera è mai uguale a un’altra.
La
pastiera, diciamolo una volta per tutte, non mette d’accordo
nessuno: getta scompiglio, crea zizzania, genera competizione,
innesca una sorta di guerra civile partenopea (e non solo). Il
motivo? Ogni famiglia è straconvinta di essere depositaria e custode
della suprema formula, della ricetta per eccellenza. Una
ricetta che, solitamente, si tramanda da generazione in generazione
ed è stata annotata, in bella grafia, nel tardo medioevo, su di un
quaderno senza copertina i cui fogli ingialliti si tengono ancora
insieme con la sputazza. Oh, ma straconvinta che più
straconvinta non si può! La ricetta di mammà, quella della nonna,
chell ra bisnonna, chell ra vicina ‘e casa di quando abitavamo
chissà dove, chell ra guardaport, chell ra sora e a nipote
dell’amica ‘e chi te stramuort!
Immancabile, poi, è la
ricetta dello zio che ha fatto il pasticciere da Scaturchio.
Ogni
napoletano che si rispetti, per qualche misterioso motivo, ha avuto
uno zio che faceva il pasticciere da Scaturchio ed ha trafugato, dal
suo leggendario laboratorio, la ricetta segretissima. Talmente
segreta ca’ a sann tutt quant, tranne i titolari della pasticceria
Scaturchio.
Si cucinano pastiere da regalare a chiunque. Tutti
sì scambiano pastiere con tutti, in mondo così compulsivo, al punto
che, in questo turbinio di pastiere ca vann annanz e aret, alcune
tornano persino indietro sotto forma di dono a chi quella pastiera
l’aveva preparata giorni prima, ed è talmente “sicuro e padrone”
della sua ricetta, che la mangia senza accorgersi che si tratta
proprio della sua, arrivando persino ad esclamare: “vabbuò, nun
pazziamm, io a faccio cientemila vote meglio!“.
Fatidico,
infine, è il momento dell’apertura, il taglio della prima fetta a
cui fa seguito l’assaggio. Lì, è la famiglia stessa che
implode, la guerra civile si trasferisce tra le mura domestiche:
“uaaaaaa è venuta perfetta”, “no era meglio l’anno passato”,
“nun dicere strunzat, era meglio tre anni fa”, “è colpa ‘e
chillu sfaccet ‘e furn”, “l’ann che vvene sarrà nu
capolavoro”. Fino a quando non si leva alta una voce, la
solita voce, che perentoria nella sua infinita saggezza esclama: Ma
che ve ne fott?!! Magnate e stateve zitt!
Francesco Andreoli
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